giovedì 26 novembre 2020

The Boys, stagione due


Dopo la folgorazione della prima stagione di The Boys, devo ammettere che attendevo con una certa curiosità il prosieguo delle avventure di Billy Butcher e soci, minuscoli Davide contro il gigante Golia della Vaught e dei suoi "super", The Seven.

Com'è andata? Beh, onestamente così così. L'elemento di maggiore delusione è stato l'ammorbidimento del gruppo dei buoni che, assecondando il trend canonico della serialità, è passato da comportamenti border-line, cinici e spigolosi a pattern più di prassi che prevedono sentimento, razionalità e precisi codici eroistici. Insomma si è persa un pò di imprevedibilità, puntando decisamente sulla fidelizzazione dello spettatore nei confronti dei characters. Per fortuna ci sono i villain, che nel mondo di The Boys sarebbero poi anche i super-eroi, i buoni. Quelli fortunatamente non hanno smarrito carica reazionaria e strafottenza (in questo Homelander/Antony Starr, episodio dopo episodio, è insuperabile, fino alla sequenza finale della masturbazione sulla cima di un grattacielo, con cumshot sulla città) garantendo piena continuità con la prima stagione. Tra i nuovi arrivi molto efficace l'inserimento nei Sette di Stormfront (interpretata da Aya Cash), che in quanto a sadismo ed "evil agenda" si staglia per distacco su tutti. Altra gradita new entry è quella del nuovo CEO della Vaught, Stan Edgar, interpretato da Giovanni Esposito.

Positive sono anche le varie letture di sottotesto inerenti la modalità di gestione dei leaks (compound V) delle multinazionali, il tema delle fake news e della manipolazione della verità attraverso meme, hashtag e social, qualche gustosa stilettata ai cine-comics e ai loro autori nerd ed infine, attraverso il fato di The Deep e di A-Train,  il subdolo ruolo delle sette religiose simil Scientology.

Devo poi esprimere tutta la mia gratitudine per la scelta della colonna sonora, vista la conferma dell'"endorsement" con Billy Joel, artista che adoro e che canto allo sfinimento, protagonista assoluto del commento musicale nonostante l'utilizzo di pezzi minori del suo fantastico repertorio, quali Pressure (utilizzato in maniera esaltante sulle prime sequenze dell'episodio 2X1); Only Human (Second wind) (per il quale si è addirittura recuperato il francamente inguardabile video ottantiano), un divertente sing-along di Hughie e Starlight su We didn't start the fire, fino alla conclusiva ed inevitabile, Only the good die young.

Tornando alla storia, registro la non banale decisione degli sceneggiatori di chiudere tutti i plot aperti nella prima stagione, concludendo sostanzialmente senza cliffhanger la seconda, sganciando così i telespettatori dall' "obbligo" di proseguire la visione per giungere al termine del plot. Una scelta magari dettata dall'incertezza sulla prosecuzione della serie (comunque la terza stagione pare proprio si faccia), ma che, da disintossicato dalla serialità industriale, ho molto apprezzato.

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