Doveroso recupero sull'anno appena passato, quello del quarto disco del countryman Matt Woods (lo specifico perchè con lo stesso inflazionato nome esistono almeno un DJ e un bluesman), artista al quale sono legato per motivi che non ricorderò più per evitare di essere inutilmente ripetitivo (ma se proprio volete, trovate tutto qui).
Con Natural disasters Matt Woods prosegue orgoglioso a dipingere sulla sua tela paesaggi di un'America affollata di personaggi alla deriva, intrappolati in una vita che, come nei più realistici film noir, è segnata e senza sbocchi, incastrata dentro lavori di fatica malpagati o impigliata dentro quella piccola criminalità che conduce inevitabilmente al carcere.
In sintesi Woods è il cantore del sogno spezzato, come racconta lui stesso senza troppi giri di parole in una The dream, la cui strofa, per un particolare corto circuito tra maestro e alunno, è modellata esattamente sul pattern di Johnny 99 di Springsteen, un'altra canzone di disperazione quotidiana nelle provincia USA.
In questo disco però Matt sposta il baricentro del suo stile verso un country rock in cui il prefisso viene oscurato a favore di una maggiore esigenza blue collar, come risulta evidente dal biglietto da visita dell'opener Blue-eyed wanderer.
Si perde insomma un pò di introspezione e si guadagna in termini di impatto, ma il messaggio non cambia. Lo sguardo da street poet del cantautore è ben focalizzato sui mali della provincia, individuando negli ottanta reganiani le cause di questo disastro (Sitcoms) per arrivare, con Cold civil war, all'analisi della situazione attuale (torna lo spettro dell'ex attore presidente: "Dad votes Reagan afraid of the nukes/ Made sure that momma did too/ We grew up watching live on TV/ what fear can make people do").
Natural disasters è, a suo modo, un (altro) disco di denuncia, ma sarebbe un errore pensare ad un mattone inascoltabile, perchè viaggia saldo sui binari di un rock popolare che non rinuncia mai alla melodia e, spesso, al ritornello catchy. Hey, heartbreaker, ad esempio, col suo essere sospesa tra i REM e i Counting Crows, fosse uscita nei novanta sarebbe stata un singolo di sicuro successo radiofonico.
E invece niente, Matt Woods continua a fare dischi belli e ispirati, che escono sottotraccia, ignorati dal pubblico. Speriamo vivamente che non si arrenda, il folk rock americano, soprattutto di questi tristi tempi, ha disperatamente bisogno di uno come lui.
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