Raramente mi sono trovato così in disaccordo con la critica cinematografica in merito al giudizio di un film. Mi è successo con Da 5 Bloods, il nuovo Spike Lee, uscito da poco per Netflix, indiscriminatamente incensato dai recensori e per me al limiti dell'inguardabile.
Il dito del regista americano è rivolto verso la più grande ossessione americana, il Viet Nam, ma indica, questo è evidente, la luna della questione razziale e discriminatoria dei neri americani. Il plus sta sicuramente nell'aver inserito elementi di contrasto alla consueta narrazione della comunità nera, come ad esempio un protagonista afroamericano (Paul/Delroy Lindo) a sua volta trumpiano e intollerante (verso messicani ed asiatici), a far riflettere su come il seme del razzismo continui a germogliare ovunque, analogamente a quello del rancore dei vietnamiti per le crudeltà commesse dall'esercito USA. Se vogliamo parlare degli elementi positivi della pellicola dobbiamo però fermarci qui, perchè per il resto l'impianto filmico è di una bruttezza talmente rara da pensare che l'abbia girata il criceto di Spike, mentre regista faceva trekking nella foresta.
D'accordo, la trama (cinque veterani della guerra in Viet Nam tornano nel Paese asiatico per recuperare una cassa di lingotti d'oro - sic!- e trovare le spoglie del loro amico e leader morto in battaglia) è solo una scusa, un gigantesco MacGuffin, per parlare delle tensioni odierne, però si sarebbe potuta fare la stessa operazione con una storia e una messa in scena degne di tale nome e della storia di Lee.
Evidentemente la verosomiglianza con la realtà non interessava il regista che (SPOILER) manda cinque settantenni nella giungla, li fa inciampare in centinaia di lingotti d'oro "sepolti" da cinquant'anni sotto due centimetri due di terriccio e lo stesso fa con i resti dell'amico, ritrovati nelle medesime modalità, con ancora la piastrina col nome al collo. Poi li fa saltare su mine inesplose, li piazza in un conflitto a fuoco che è un massacro di americani, vietnamiti e francesi dai quali i superstiti non subiscono conseguenze penali e se ne tornano sorridenti e miliardari in America.
Le cinque o sei persone che leggono questo blog sanno benissimo il mio posizionamento politico, quindi non devo stare qui ad affermare quanto concordi con lo Spike pensiero, ma, davvero, qualche anno fa il Maestro avrebbe scelto forse metafore più colte di un berretto con lo slogan di Trump ("make America great again", in realtà rubata da un discorso di Reagan) gettato sul cadavere di un nero, per fare denuncia sociale.
Film dal messaggio politico forte e totalmente condivisibile che però si mangia tutto il resto. Peccato.
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