Da fan della prima ora di questo "mucchio di pagliacci" (traduzione approssimativa del monicker Motley Crue), e avendo già letto l'autobiografia collettiva all'origine della trasposizione, non nascondo avessi una certa curiosità di vedere come le vicende dei quattro Crue potessero essere tradotte in linguaggio cinematografico.
Il progetto del film su The Dirt, dato il successo dell'autobiografia, dopo aver girato per anni di scrivania in scrivania delle diverse major cinematografiche, ha trovato la sua realizzazione grazie a Netflix, che ne ha prodotto la trasposizione.
L'apprezzamento del film da parte degli utenti della piattaforma di streaming è stato tale da "convincere" Vince, Nikki, Mick e Tommy, che da tempo si detestano cordialmente, a strappare il contratto stipulato solo qualche anno fa, dove si impegnavano solennemente a chiudere per sempre la carriera del gruppo, e tornare per un mega tour estivo (coronavirus permettendo) negli stadi americani in compagnia di Def Leppard, Poison e Joan Jett.
Ma torniamo a bomba. Com'è il film? Beh, si parte bene, con le adrenaliniche ed irriverentissime sequenze iniziali (pronti via un torrenziale squirting, in questo caso indotto da Tommy Lee) sottolineate dall'ottima Red hot, e una prima parte che, alternando un montaggio veloce a fermi immagine, vuole dare, riuscendoci, la percezione della folle velocità alla quale girava, nei primi anni, l'universo Motley Crue.
Tuttavia il film, nel proseguo della narrazione, perde la sua "sporcizia" non riuscendo più a distaccarsi dal canonico racconto "a fasi" di quasi tutti i biopic musicali, oltre ad far prevalere, anche oltre il consentito, la realtà romanzata rispetto ai fatti accaduti, con un finale da overdose, ma di melassa.
La seconda parte della carriera della band (post 1989, anno della pubblicazione di Dr Feelgood) è stata davvero edulcorata in maniera insopportabile (almeno per chi un pò la conosce), oltre ad essere completamente tagliata di una dozzina di anni di storia (1995/2007 , periodo in cui sono usciti due album con formazioni a...geometria variabile).
Si vuole inoltre far credere che la riappacificazione (che ha portato nel 2008 alla pubblicazione dell'ottimo album Saints of Los Angeles) sia avvenuta grazie ad un banale colloquio chiarificatore tra amici al bar, molto alla "volemose bene", quando invece, per ammissione degli stessi protagonisti, la riunione si fece, ma si trattò di un incontro complesso, litigioso e affollato dai rispettivi legali.
Nessuna annotazione particolare sulla prova dei quattro attori che hanno impersonato i Crue. Fa sempre un certo effetto vedere il sadico aguzzino "Ramsey Bolton" (l'attore Iwan Rheon) in un ruolo diverso da quello che l'ha consacrato ne Il trono di spade, nello specifico nei malaticci panni di Mick Mars, tuttavia ci si fa l'occhio (oddio, quei parrucconi sono davvero inguardabili). Tra l'altro, scorrendo la pagina wikipedia dell'attore si scopre che il buon "Ramsey" nel 2015 ha anche inciso un disco (non di genere glam metal, ma folk).
Per quanto riguarda il resto della ciurma l'altro viso noto è quello del rapper/attore Machine Gun Kelly nelle ciondolanti vesti di Tommy Lee, mentre non mi fanno suonare nessuna campana Douglas Booth (Nikki Sixx) e Daniel Webber (Vince Neil).
In conclusione, dovessi esprimere un giudizio andrei dall'8 della prima parte al 5 della seconda. Ne uscirebbe pertanto un decoroso 6,5, che a mio avviso bene esprime il valore del film.
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