Il gioiellino, film diretto da Andrea Molaioli (già regista del riuscito La ragazza del lago), porta sullo schermo la vicenda dell'ormai famigerato crac Parmalat attraverso la storia, qua e là romanzata, dell'azienda di fantasia Leda, che da caseificio di famiglia diventa impresa mondiale.
Inutile stare troppo a girarci intorno, in Italia fatichiamo tremendamente a produrre opere di questo tipo e anche Il gioiellino purtroppo, dopo una buona partenza e nonostante l'interesse per l'argomento trattato, alla lunga si perde un pò dietro a recitazioni talvolta approssimative ed un contesto complessivo che scivola spesso nel prodotto da televisione (italiana, ovviamente perchè se il riferimento fosse ai serial USA il discorso sarebbe differente).
Ad ogni modo, e che ve lo dico affare, a stagliarsi in maniera sublime è l'interpretazione che Toni Servillo dà, letteralmente maramaldeggiando, di Ernesto Botta, il ragionere deus ex machina delle macchinazioni finanziarie dell'impresa. Botta è un self made man arrogante e spocchioso, che tratta gli altri con sufficenza e disprezzo, ma è anche un gran lavoratore che non smette mai di aggiornarsi. Deliziosi sono in questo senso i passaggi del film nel quale si cimenta con l'inglese appena imparato e subito utilizzato per intimidire attraverso lo sproloquio i suoi interlocutori internazionali. Oltre a Servillo mi è piaciuta anche Sarah Felderbaum, che ha vestito i panni della nipote del patriarca dell'impresa (interpretato da Remo Girone, sempre uguale a se stesso).
Il gioiellino è in sintesi un film di quelli che se lo si inizia a guardare alla tv la curiosità porta a terminarlo, anche se superato il giro di boa di metà film (il viaggio a New York) la pellicola perde molto d'intensità e forza. Luci e ombre insomma.
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