Appare piuttosto chiaro che tutta questa storia dell’abolizione dell'articolo 18 dello statuto dei lavoratori (che non è il divieto di licenziamento ma l’obbligo di riassunzione per un lavoratore licenziato senza giusta causa per le imprese con più di 15 dipendenti) abbia travalicato ogni ragionamento oggettivo e sia diventata mera propaganda governativa, l'ultimo scalpo da offririre agli dei dell'Europa nella speranza di ottenere clemenza.
Ho sentito e letto di tutto sulla tutela introdotta nel maggio del 1970 (con l’astensione del P.C.I. che riteneva tutto l’impianto di legge dello statuto troppo debole, pensate un pò): che è per causa sua se non si sviluppa l’occupazione, che gli investitori esteri non vengono in Italia per questo vincolo, che mette un tappo al turn-over giovani-anziani, che mantiene il Paese in uno stato di arretratezza, che riguarda ormai pochi privilegiati…
A sostenerlo sono più o meno gli stessi che hanno introdotto, da Treu a Sacconi, quasi cinquanta varietà di tipologie contrattuali differenti senza minimamente sviluppare una rete sociale che ne assorbisse il peso, quindi niente mutui o finanziamenti se il contratto è precario, nessuna politica attiva di reinserimento, quasi nulli gli obblighi di assunzione da parte di chi abusa dei contratti a termine.
Ora queste stesse persone fingono di non sapere che razza di imprenditori tutt’altro che illuminati ci siano in Italia, dimenticano che il 98% delle aziende italiche è sotto i 15 dipendenti (e quindi escluse dall'eventuale reintegro dei lavoratori), tralasciano di dire che i licenziamenti sono già possibili per legge (ad es. la 223 del 91), sia per stati di crisi che per ristrutturazione (quindi nelle pieghe della legge basta “la qualunque” per ridurre il numero di dipendenti) solo che è prevista la mediazione del sindacato e quindi il padrone non può scegliere in autonomia a chi far liberare l’armadietto. A questo aggiungiamo il dato degli ultimi anni, solo 31mila ricorsi contro i licenziamenti individuali negli ultimi dieci anni e l’inezia di 310 regolati attraverso l’articolo 18 negli ultimi cinque.
Il problema quindi, esattamente, dove sta? Nell'abbattere l'ultimo ostacolo al pieno e totale arbitrio dell'imprenditore verso i suoi subalterni, nel precarizzare anche il lavoro senza scadenze, nel condizionare vita e attività lavorativa delle persone.
Prima di prendermi dell’ottuso ideologico sarebbe il caso di porsi la domanda se ad esserlo maggiormente non siano quelli che reclamano perentoriamente questo obbiettivo. Obbiettivo che, paradossalmente ma nemmeno tanto, è stato sempre respinto quando propugnato dai governi di destra ed è pronto ad essere impacchettato col fiocco da una coalizione sostenuta anche dal centro-sinistra.
Così è la vita, Cipputi.
Ho sentito e letto di tutto sulla tutela introdotta nel maggio del 1970 (con l’astensione del P.C.I. che riteneva tutto l’impianto di legge dello statuto troppo debole, pensate un pò): che è per causa sua se non si sviluppa l’occupazione, che gli investitori esteri non vengono in Italia per questo vincolo, che mette un tappo al turn-over giovani-anziani, che mantiene il Paese in uno stato di arretratezza, che riguarda ormai pochi privilegiati…
A sostenerlo sono più o meno gli stessi che hanno introdotto, da Treu a Sacconi, quasi cinquanta varietà di tipologie contrattuali differenti senza minimamente sviluppare una rete sociale che ne assorbisse il peso, quindi niente mutui o finanziamenti se il contratto è precario, nessuna politica attiva di reinserimento, quasi nulli gli obblighi di assunzione da parte di chi abusa dei contratti a termine.
Ora queste stesse persone fingono di non sapere che razza di imprenditori tutt’altro che illuminati ci siano in Italia, dimenticano che il 98% delle aziende italiche è sotto i 15 dipendenti (e quindi escluse dall'eventuale reintegro dei lavoratori), tralasciano di dire che i licenziamenti sono già possibili per legge (ad es. la 223 del 91), sia per stati di crisi che per ristrutturazione (quindi nelle pieghe della legge basta “la qualunque” per ridurre il numero di dipendenti) solo che è prevista la mediazione del sindacato e quindi il padrone non può scegliere in autonomia a chi far liberare l’armadietto. A questo aggiungiamo il dato degli ultimi anni, solo 31mila ricorsi contro i licenziamenti individuali negli ultimi dieci anni e l’inezia di 310 regolati attraverso l’articolo 18 negli ultimi cinque.
Il problema quindi, esattamente, dove sta? Nell'abbattere l'ultimo ostacolo al pieno e totale arbitrio dell'imprenditore verso i suoi subalterni, nel precarizzare anche il lavoro senza scadenze, nel condizionare vita e attività lavorativa delle persone.
Prima di prendermi dell’ottuso ideologico sarebbe il caso di porsi la domanda se ad esserlo maggiormente non siano quelli che reclamano perentoriamente questo obbiettivo. Obbiettivo che, paradossalmente ma nemmeno tanto, è stato sempre respinto quando propugnato dai governi di destra ed è pronto ad essere impacchettato col fiocco da una coalizione sostenuta anche dal centro-sinistra.
Così è la vita, Cipputi.
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