Ormai la fantasia ha messo la freccia e superato la realtà storica. Quello che è stata la banda della Magliana nell'Italia di trent'anni fa si perde nelle cronache, nelle nebbie di periodi oscuri, dissolta in giorni di inaudita violenza. Quello che abbiamo oggi sono le gesta di un gruppo di criminali entrati a far parte dell'immaginario collettivo degli italiani al pari di don Vito Corleone, il più noto boss mafioso cinematografico di ogni tempo, per gli americani. Il Libanese, il Freddo, il Dandi e gli altri sono assunti, in molte parti d'Italia, al ruolo di veri e propri anti-eroi. Non mi stupirebbe se, analogamente a quanto raccontato da Saviano in Gomorra, i giovani criminali moderni dormissero con il loro santino sulla parete della camera da letto.
Tutto è cominciato con il libro di Giancarlo De Cataldo, poi è venuto il film di Michele Placido e infine Sky, che ne ha ricavato una serie televisiva, realizzata anche con il contributo del magistrato/scrittore (per il soggetto) e dell'attore/regista (come consulenza).
La storia è quella ormai nota, ma ovviamanente, potendo contare su circa dieci ore di prodotto contro le due e mezzo del film ( e mettiamoci anche che al cinema venivano "coperti" tutti gli eventi mentre la prima stagione del telefilm si ferma più o meno a metà) , la narrazione si prende il suo tempo, amplia il respiro, aumenta le "licenze" rispetto al plot di partenza, indugia nelle "origini" dei personaggi.
La scena d'apertura nasce da una grande intuizione. Mentre il prologo del film di Placido era affidato ad un flashback nel quale si vedevano i futuri gangster da ragazzini, la serie di Stefano Sollima (un padre regista, e qualche episodio di serie televisive ) parte con un flashforward nella Roma di oggi. Assistiamo ad un violento pestaggio da parte di un branco di ragazzi ai danni di un uomo di mezz'età che reagirà in maniera ancora più spietata al sopruso subito, insinuando nello spettatore un collegamento (da definire) con i protagonisti della storia di trent'anni prima.
Poi si parte con la storia della scalata del potere criminale di Roma da parte del Libanese, ambizioso e dotato di grande personalità, di una naturale predisposizione alla leadership, ma anche privo di valori morali, spietato e senza scrupoli. La sua batteria (è così che chiamavano le bande nella capitale) si unisce per un avvenimento casuale a quella del Freddo, taciturno e carismatico, a capo di un suo gruppo delinquentelli. Il primo atto, che consolida il capitale economico della banda, è il rapimento che finisce in tragedia di un nobile della borghesia romana, poi la decisione di investire nello spaccio e di allargare, di quartiere in quartiere, il proprio dominio su tutta la città, fino a controllarne totalmente il traffico. A differenza delle abitudini della mala locale, i nostri acquisiscono potere e rispetto attraverso l'uso indiscriminato della violenza, "parcheggiando" (è il sinonimo che sta per omicidio) indiscriminatamente chiunque si metta sul loro cammino. Arriveranno in seguito rapporti con camorra, mafia e "obtorto collo" con i servizi segreti (deviati?), Moro, la strage di Bologna. Parallelamente si svolgono le indagini di Scialoja, un commissario tanto isolato (per le sue idee politiche di sinistra) quanto abile e di Borgia, un magistrato che va lealmente controcorrente rispetto alla linea fascista della gestione delle forze dell'ordine.
Col tempo la solidità della banda comincia a sfaldarsi, molti dei suoi membri diventano cocainomani e di riflesso ingestibili. Lo stesso Libanese, onnubilato da coca e alcol, si perde in un deliro di onnipotenza e paranoia, fino all'inevitabile atto finale. Degli altri due capi, il Freddo decide di mollare tutto e rifugiarsi all'estero mentre il Dandi, scaltro e cinico, cerca di capire come mantenere il potere.
Non se questa serie, come qualcuno ha affermato, sia davvero la migliore mai prodotta in Italia. Di certo risulta evidente lo sforzo di farne un prodotto d'eccellenza, dal taglio adulto, cinematografico. Un grande impegno è stato profuso nella ricostruzione del contesto del periodo storico, nello slang dell'epoca, nelle location, nei costumi (ecco, forse un eccesso di "falso vintage"). Ancora di più è stato speso (in tutti i sensi) nella costruzione della colonna sonora. I settanta sono magistralmente rappresentati dalle popolari hits italiane (Tutto il resto è noia, Figli delle stelle, Pazza idea, Albachiara, Sabato pomeriggio) e internazionali (Le freak, You meake me feel mighty real, Knock on wood, Disco inferno, Please don't go), quasi sempre usate come congruo accompagnamento alle immagini, e spesso, a farne da contrasto.
Tutti queste scelte alzano il ivello dell'opera oltre la media dei competitors italiani. Così come risultano azzeccate alcune scene di chiaro tributo al primo Tarantino. Su tutte, ad esempio, quella di un'efferata esecuzione camorristica all'inizio del secondo episodio, che si svolge con lo spensierato sottofondo musicale di Gianna (Rino Gaetano), e che sembra stare a Romanzo Criminale come Stuck in the middle with you sta a Le iene, nella scena delle sevizie al poliziotto. E poi le discussioni sulle preferenze musicali dei membri della banda, fatte all'interno dell'alfetta poco prima di un colpo, con il Dandi che adora la disco music (Sylvester, Kool and the gang, Diana Ross) e gli altri che lo accusano di "froceria" per poi ammettere però di apprezzare Baglioni, sono anch'esse squisitamente tarantiniane.
Due parole sugli attori, tutti pressochè sconosciuti (almeno per il sottoscritto). Seppur con qualche eccesso di ghigno malefico che a volte sfocia nel caricaturale, ottimo lavoro di Francesco Montanari (il Libanese), così come di Vinicio Marchioni (il Freddo), Alessandro Roja (il Dandi) e del resto della banda (su tutti un nome: Andrea Sartoretti aka Bufalo), qualche perplessita in più su Marco Bocci (Scialoja), penalizzato dal look da fotoromanzo e su Daniela Virgilio (Patrizia, la prostituta/maitresse/donna del Dandi). Le scene e i dialoghi tra i due sono forse il punto più basso dell'intera serie, poco credibili e prive di ogni intensità.
Per concludere una considerazione. Si è tanto polemizzato (da molte parti senza nemmeno aver visto il film) sull'opera, in uscita, di Placido su Vallanzasca. Il motivo può anche essere condivisibile: evitare di enfatizzare troppo l'opera di un criminale assassino, non farne un esempio, un simbolo. Ma allora ci sarebbe molto da dire sulla trasposizione di quella, che a detta di tutti (a proposito, in questi giorni su History channel c'è un documentario sulla vera storia della banda) è stata una delle associazioni criminali più spietate e colluse con il malaffare e la parte oscura dello stato, che viene invece rappresentata come un gruppo di gangster sì violenti e senza scrupoli, ma con un solido codice d'onore e che agisce quasi esclusivamente contro altri criminali, lasciando in qualche modo che nello spettatore maturi una sorta di assoluzione morale, visto che "s'ammazzano tra loro" e che gli innocenti non ci vanno mai di mezzo. Nella realtà questa gente ha sparato in testa a persone comuni solo per una risposta sgradita o uno sguardo di troppo, sicuri della propria impunità.
Ma lo dicevo in premessa, questo prodotto ormai con la realtà dei fatti ha poco a che fare. Ha molto invece in comune con le grandi produzioni anglosassoni di serial, con la professionalità che li contraddistingue e con il coinvolgimento/fidelizzazione che riescono a creare nello spettatore. Non mi sembra poco, in questi tempi di stucchevole buonismo da Squadre e Distretti di Polizia.
P.S. Su Sky è da poco iniziata la season 2.