mercoledì 28 ottobre 2009
Orgoglio e pregiudizi
martedì 27 ottobre 2009
Uncut: i migliori album degli anni zero
Dopo la classifica del meglio del decennio di quegli strafattoni di Pitchfork, eccoci agli amici dinosauri di Uncut. Beh, la differenza si vede. In una graduatoria degli anni zero riescono comunque ad inserire Dylan (due album!) e Springsteen. Poi però anche loro non si fanno mancare qualche scelta aristocratica. Degli immancabili Radiohead selezionano non il prevedibile Kid A, ma l'ultimo In Rainbows. Dei Wilco non il capolavoro YHF ma il successivo A Ghost is born. Avrei decisamente qualcosa da ridire anche sul primo in classifica. Però dai, si riscattano mettendo nella top five quel gioiellino in punta di voce che è Raisin' Sand, della coppia Plant/Krauss.
Tocca accontentarsi, dopotutto sono solo classifiche.
20 Amy Winehouse - Back to Black
19 Bruce Springsteen - The Rising
18 Kate Bush - Aerial
17 The White Stripes - Elephant
16 LCD Soundsystem - Sound of Silver
15 Radiohead - In Rainbows
14 Primal Scream - XTRMNTR
13 Gillian Welch - Time (The Revelator)
12 Portishead - Third
11 The Flaming Lips - Yoshimi Battles The Pink Robots
10 Fleet Foxes - Fleet Foxes
09 Ryan Adams - Heartbreaker
08 Bob Dylan - Modern Times
07 Arcade Fire - Funeral
06 Robert Plant and Alison Krauss - Raising Sand
05 The Strokes - Is This It
04 Brian Wilson - Smile
03 Wilco - A Ghost is Born
02 Bob Dylan - Love and Theft
01 The White Stripes - White Blood Cells
lunedì 26 ottobre 2009
Ne hanno un pò, se ti serve
Questo è stato il contesto per l’ultimo lavoro dei Pearl Jam, Backspacer. Già settimane prima della sua release ufficiale i forum dedicati al gruppo sono esplosi con centinaia di messaggi (spesso critici) relativi non al disco completo, a volte neanche ad una canzone intera, ma anche solo a frammenti di essa.
Non voglio essere aristocratico a riguardo, diavolo, è bello essere ottusi e lapidari fan di una rock-band, anzi è una delle cose più eccitanti al mondo. L’attesa, i primi ascolti, il confronto con gli altri seguaci. Lo so perché sono stato anch’io così e ancora oggi, a volte, mi capita di esserlo. Però capite con che razza di clima ci si misuri (scherzo eh) ?
Un’altra premessa che vorrei fare è che ho un rapporto molto particolare con il gruppo di Eddie Vedder. Li rispetto profondamente da un punto di vista deontologico, compro compulsivamente da alcuni anni tutti i loro ciddì, ma accidenti, mai che sia riuscito ad andare oltre la soglia di ascolto che determina passione sfrenata. Per dire, il disco della loro produzione che ho ascoltato maggiormente è stato Riot Act, che probabilmente è anche il più controverso e il più contestato, per cui tirate un po’ voi le somme.
Terza e ultima premessa, invito i lettori del blog non utenti del forum dei Bravi Ragazzi, a leggere questa appassionante discussione su Backspacer, alla quale hanno partecipato, riuscendo nell’impresa di coniugare ragione e sentimento, amici, autorevoli esperti nonchè amanti di primo pelo del gruppo. Secondo me è quasi impossibile aggiungere altro. Se invece non fosse così, c’è sempre la recensione, molto ruocc e fuori dagli schemi, dell’amico blogger lafolle. A me è oltremodo piaciuta. Non è escluso tra l'altro, che qualcuno dei concetti espressi dagli amici sopra citati mi sia rimasto attaccato alla tastiera del piccì, e io l'abbia fatto mio. Nel caso, mi scuso in anticipo.
Dopo tutto sto pippotto, e con l’isteria di massa intorno all’album che sta finalmente scemando, paso alle mie impressioni sul disco.
Le acustiche Just breath (con un Eddie che sembra afono) e la conclusiva (ma vah?) The end, outtakes o meno del progetto solista del singer dei PJ, riescono a creare una buona atmosfera (come quel brandy italiano) e ad essere suggestive.
Le ballate in crescendo Among the waves e Untought know, piazzate come spartiacque a metà disco, rispondono alla consolidata tradizione del gruppo a misurarsi con pezzi di questo taglio epico. Sono probabilmente tra gli episodi più riusciti ed emozionanti dell’intero album.
Il resto per chi scrive è un gradino sotto, senza però scendere a livelli di insufficenza. Cito tra ciò che rimane Johnny Guitar e Speed of sound.
A mio avviso Backspacer rientra appieno nella categoria: “hard rock di stampo classico che rende al meglio nella dimensione live”, and that’s all.
Capisco che qualche fan possa vedere in quest’opera il classico compitino di transizione, ma è opportuno tenere in debita considerazione tutte le insidie che si annidano dietro alla lavorazione di ogni disco, quando una rock band così "esemplare" è vicina ai vent'anni di attività.
E’ difficile infatti, per un gruppo dalla storia dei Pearl Jam invecchiare con coerenza, evitando di diventare autoreferenziale, probabilmente (per adesso) Vedder e soci hanno smesso di cercare strade alternative al loro sound (se mai l’hanno fatto con convinzione) e può essere che se la stiano semplicemente spassando, scarnificando e semplificando al massimo il loro sound. Oppure sono davvero in crisi creativa, ma invece di aspettare che passi, si siano rifugiati in porti sicuri a sfornare un disco da band al debutto, chi lo sa?
La cosa importante è che Backspacer eviti la sindrome U2 e (di recente) Springsteen. Di contenere cioè un insieme di pezzi che cercano disperatamente di suonare come ai vecchi bei tempi del massimo fulgore, finendo così, inevitabilmente per far apparire i Pearl Jam come un gruppo che fa cover di se stesso.
Ecco, io trovo invece che Backspacer, con tutti i limiti e i difetti che gli si possano attribuire, abbia il pregio almeno di essere un lavoro sincero, non ruffiano, che non si arrampica pateticamente sui vetri della storia, e che, seppur in maniera discontinua, ha pure un bel tiraccio.
giovedì 22 ottobre 2009
MFT, ottobre 2009
martedì 20 ottobre 2009
The sky is the limit
Carl intanto rifiuta tutte le offerte economiche che gli vengono fatte per la sua abitazione, e si ostina a continuare a vivere lì. Appare come un anziano burbero e intrattabile. In realtà ha un animo dolce e romantico e vive nei ricordi della sua amatissima Ellie, compagna di una vita, dall'infanzia alla terza età, scomparsa da poco. Tutto nella casa gliela ricorda. E' lì dentro che si sono conosciuti da bambini, è quella la casa che hanno scelto per vivere dopo sposati, e che insieme hanno ristrutturato.
Un giorno purtroppo, a causa di un banale incidente, Carl ferisce un operaio della ditta edile, e per questo viene dichiarato non più autosufficiente e costretto a trasferirsi in una casa di riposo. Ma Carl ha un piano per sfuggire a questa specie di prigionia e al tempo stesso per realizzare il sogno che aveva condiviso con la moglie per tutta una vita...
Meraviglioso, coloratissimo, visionario, commovente e divertente il nuovo film della Pixar/Disney. Ormai non c'è neanche più da meravigliarsi della bravura e della sensibilità di questi autori. Carl ha la faccia di Spencer Tracy, è uno dei personaggi più riusciti ed inverosimili della storia dei cartoon. La prima parte del film, fino alla fuga della casa, è deliziosa. La narrazione spiega in maniera incantevole cosa si nasconda nella testa di persone anziane sole. I ricordi, la nostalgia, la malinconia, la struggente solitudine. Il mondo che non li capisce e che loro non capiscono più. La società che non li vuole tra i piedi e tenta di nasconderli alla vista perchè poco consoni all'imperante idea di nuovo o di bello. Questo progetto va nella direzione (ostinata e) contraria: cerca di avvicinare quelle solitudini al grandissmo pubblico.
In seguito il film si sviluppa secondo canoni più tradizionali dell'avventura per bambini, ma conservando comunque un gusto particolare, e alcune gag di azione tra ottuogenari davvero divertenti. Qualcuno l'ha associato in qualche modo a Gran Torino di Eastwood.
Un film splendido e per tutti. Genitori, bambini e nonni.
lunedì 19 ottobre 2009
Lucerna, Tennesse / parte uno di due
Forse può apparire un pò egoista trascinarsi dietro tutti per una finalità esclusivamente personale di cui agli altri non importa un fico secco, ma devo dire che la famiglia, o perlomeno quella parte di famiglia con cui medio le decisioni, ha accettato con favore la proposta di una gita di due giorni nel cuore della svizzera tedesca, nonostante il tempo incerto e la mia assenza programmata per la prima serata di permanenza (venerdì 4 settembre, la sera del concerto).
Si decide all'unanimità di pagare i 29€ di bollo autostradale elvetico invece di fare le strade statali, un po’ per comodità, un po’ per fare prima. Dopo una breve sosta per il pranzo a Lugano ci mettiamo in marcia con destinazione Lucerna. Ci aspetta una coda mostruosa al passo del San Gottardo, dopo la quale in poco tempo arriviamo a destinazione.
Lucerna è una cittadina veramente gradevole, una volta si sarebbe usato l’aggettivo pittoresca. E’ anche accogliente, certo a patto di limitarsi a respirare e non spingersi a comprare nemmeno una bottiglietta d’acqua da mezzo litro, perché in quel caso risulterebbe subito evidente la ragione per cui in giro ci sono quasi esclusivamente auto da trentamila euro in su.
Qualche zuppa bollente dopo ci sentiamo tutti meglio, attacco un wurstel con patate e salsa di cipolle, innaffiato con birra bianca, e mi sento improvvisamente davvero un po’ egoista per aver “imposto” questa trasferta alla famiglia solo per assecondare un mio desiderio adolescenziale. Però li vedo tranquilli e soddisfatti e un po’ mi rinfranco.
Resto con loro il più possibile, cioè fino alle otto e mezza (il concerto è previsto per le nove), dopodichè prendo un taxi (una delle rarissime volte nella mia vita) e in pochi minuti sono allo Schuur. Il posto è appena fuori il centro, in una zona industriale (una zona industriale sfizzera, neh. Dimenticate le nostre, tutte decadenza e sporcizia ). Mostro al muscoloso buttafuori la ricevuta del ticket stampata dal web, qualche secondo di apprensione prima di avere l’ok, e poi finalmente è fatta. Mi marchiano il polso con quei fichissimi timbri visibili solo al neon e finalmente entro, caricato a molla.
Dentro mi arrivano almeno tre sottofondi musicali diversi, tutti a palla. Dopo una veloce perlustrazione scopro che lo Schuur ha tre sale, due a piano terra (una di queste è in stile saloon, guarda un po’!) e una, quella dei concerti, al piano superiore. Mi reco subito al tavolo del merchandising per fare incetta di ciddì di Hank, ma mi dicono che non ne hanno nemmanco uno perché “costava troppo portarli dagli USA”. Mi sembra una cazzata clamorosa e un autogol da pivelli, ma mi rassegno. Salgo le scale convinto di dover attendere ancora per vedere l’open act di Bob Wayne, e invece lo trovo già lì che se la canta. E anche da un bel pezzo, probabilmente, visto che dopo un paio di pezzi saluta tutti e se ne va. Non è certo la fine del mondo, ma un po’ mi spiace.
Sono le otto e quaranta, mi guardo intorno, per studiare la flora locale. Ci sono metallari, rockabilly agghindati come se fossimo nel fottuto 1956, tipi con basettoni cosmici sopra caps da camionisti texani, nerds, e gente comune. Sento parlare in tedesco, francese e italiano, la cosa mi sorprende un po’, fino a quando realizzo dove sono. In questo luogo, entro pochi chilometri convivono infatti almeno tre lingue.
Il posto è un buco, sembrerebbe una ex-fabbrica, con tanto di tubature e strutture metalliche a vista. Un’occhiata sul palco, noto che sotto la batteria è attaccata con il nastro adesivo un grande cartoncino circolare che riporta, numerati, una lista di brani in sequenza. Sembrerebbe la scaletta della serata, messa lì in favore di pubblico e non, come consuetudine, attaccata alle assi dello stage. Non mi era mai capitato di vedere una cosa del genere, diamine il segreto della setlist per gli spettatori è sacro! Fotografo ma non leggo. Così, per sicurezza.
In bella vista, ai piedi della batteria, c’è anche un’orologio digitale. E’ per questo che posso dire, con precisione tutta elvetica, che alle 20.57, in leggero anticipo sull’orario di inizio previsto, Hank Williams Terzo e The Damn Band salgono sul palco.
Di persona, e a pochi metri di distanza (stazionerò per tutto lo show tra la terza e la quinta fila centrale), il nipote del più leggendario cantante country di sempre spicca in tutta la sua magrezza e i suoi tratti spigolosi che lo fanno somigliare in qualche modo allo Zanardi di Pazienza.
La formazione della Damn Band è composta da sei elementi, oltre ad Hank prendono posto contrabbasso, violino, slide guitar (suonata su piano orizzontale), banjio e batteria.
Noto che sia il contrabbasso che la Guild di Williams hanno la cassa armonica sigillata. Il contrabbasso con del nastro isolante nero, la chitarra addirittura con un foglio di compensato posto all’interno dello strumento. Immagino che serva ad avere un suono più secco e meno armonioso, ma attendo conferme magari dai musicisti lettori del blog.
La band prende posto, Hank saluta e attacca Straight to hell. Ecco che improvvisamente si cancellano stanchezza, sensi di colpa e menate per i soldi spesi. La musica, sempre più di rado per la verità, è ancora in grado di prenderti ed elevarti ad un punto di fanciullesca gioia ed eccitazione. Canti come se da quello dipendesse la tua vita, sai che non può esserci niente che possa andare storto in quel momento. L’acustica tra l’altro è ottima, la voce si sente benissimo, così come tutti gli strumenti (fatta eccezione forse per il violino quando il sound è pieno). Eh sì, fare il controcanto su Straight to hell (HELL! – HELL!) insieme ad un gruppetto di esagitati agghindati in modo discutibile non ha davvero prezzo.
to be continued...
domenica 18 ottobre 2009
Pitchfork: i migliori 20 album degli anni zero
20 Interpol - Turn On The Bright Lights [Matador, 2002]
19 Spoon - Kill The Moonlight [Merge, 2002]
18 Kanye West - Late Registration [Roc-A-Fella, 2002]
17 LCD Soundsystem - Sound Of Silver [EMI/DFA, 2007]
16 Sufjan Stevens - Illinois [Asthmatic Kitty, 2005]
15 The Knife - Silent Shout [Mute/Rabid, 2006]
14 Animal Collective - Merriweather Post Pavillion [Domino, 2009]
13 OutKast - Stankonia [La Face, 2000]
12 The White Stripes - White Blood Cells [Sympathy For The Record Industry, 2001]
11 Ghostface Killah - Supreme Clientele [Sony, 2000]
10 The Avalanches - Since I Left You [Modular/Interscope, 2000]
09 Panda Bear - Person Pitch [Paw Tracks, 2007]
08 Sigur Rós - Ágætis Byrjun [Smekkleysa; 2000]
07 The Strokes - Is This It [RCA, 2001]
06 Modest Mouse - The Moon & Antarctica [Epic, 2000]
05 Jay-Z - The Blueprint [Roc-A-Fella, 2001]
04 Wilco - Yankee Hotel Foxtrot [Nonesuch, 2002]
03 Daft Punk - Discovery [Virgin, 2001]
02 Arcade Fire - Funeral [Merge, 2004]
01 Radiohead - Kid A [Capitol, 2000]
sabato 17 ottobre 2009
He was turned to steel...
Altra costante, dal primo Spiderman di Sam Raimi in poi, è la spettacolarità delle scene d’azione. Ormai con la tecnologia si può fare tutto. Lo immagini, lo puoi creare. Fa quasi tenerezza pensare al Superman con il povero Reeve, o al panciuto Uomo Ragno dei settanta.
Cosa differenzia quindi un super-hero movie da un altro? Beh, una grossa mano la possono dare regia e cast. Ecco, Iron Man spicca per l'eccellenza di quest'ultimo elemento.
Il protagonista Tony Stark, un miliardario cinico, viziato e snob è interpretato come meglio non si potrebbe da Robert Downey Jr; un irriconoscibile e magnifico Jeff Bridges è Obadiah Stane il suo socio storico, nonché unico amico e in seguito sua nemesi; Gwynet Paltrow è la timida ma determinata segretaria Pepper, da sempre innamorata del suo capo. C’è il solito cameo di Stan Lee (creatore di tutta la galassia Marvel dei sessanta ed uno del regista Jon Favreu ( lo scrittore/protagonista dell'indimenticabile Swingers). Poi ci sono degli arabi cattivissimi, ma vabè nessuno è perfetto.
Il film scorre bene, riesce ad essere molto ironico, la cattiveria diabolica di Obadiah/Bridges è da culto, la timidezza da romanzo harmony di Pepper/Paltrow è molto romantica, Stark/Downey jr gigioneggia per tutto il tempo. L’idea del mini reattore trapiantato nel centro del petto di Stark è geniale (è un'iniziativa degli sceneggiatori, nei comics non c'è mai stato) e visivamente molto efficace, così come “l’operazione a cuore aperto” che Pepper pratica a Stark.
Un’altra costante delle trasposizioni dei comics Marvel è l’attualizzazione delle storie. Quasi tutti i character più famosi della Casa delle Idee sono stati creati nei primi sessanta, mentre i loro parenti di celluloide sono ben inseriti nel terzo millennio.
Le origini di Iron Man ad esempio, in originale avevano luogo durante la guerra in Corea (!) mentre nel film avvengono in un ipotetico Afghanistan.
Da storico fan dei fumetti Marvel, confesso di non avere mai eccessivamente amato questo personaggio in armatura rossa e oro, ma devo ammettere che la pellicola a lui ispirata è quanto di meglio finora prodotto da Hollywood in ambito di film sui super eroi. Un intrattenimento spettacolare e ben realizzato.
E’ quasi pronto il sequel, uscirà nelle sale americane a maggio 2010.
venerdì 16 ottobre 2009
Licenza di diffamare
IL CASO. Il magistrato del verdetto Fininvest-Cir seguito da una telecamera. Ironie sull'abbigliamento e la promozione ottenuta due giorni fa dal Csm
E Canale 5 "pedina" il giudice Mesiano"Stravaganti i suoi comportamenti" (qui l'articolo completo, da Repubblica)
Servizio sulla vita privata del magistrato della sentenza Cir-Fininvest. Ironie sui vestiti. Il sindacato delle toghe: "Intervenga il Garante". Fnsi: "E minacciano ritorsioni sul canone Rai"
Per quanto mi sforzi, non riesco a trovare parole adatte a concludere il post.
On the railroad tracks again
Certo, ci devono anche essere le giuste condizioni, sennò è complicato. L’ultima volta ero in beata solitudine in uno scomparto da quattro posti, ieri ho evitato di fare il quarto incomodo di una famiglia con bimbetto di pochi mesi a seguito, che, a giudicare dagli strilli,pareva fosse posseduto dal demonio. Con mossa abile ed esperta mi sono spostato lungo le carozze finchè non ho trovato da sedere di fronte (lui corridoio, io finestrino) ad un posato manager cinquantenne che per tutta la durata del viaggio non ha alzato un momento la testa dal suo macbook.
Per cena mi sono fatto due ignobili tramezzini al cotto preconfezionati presi all'ultimo secondo dai distributori automatici a lato binario, e meno male, perché “per problemi tecnici” la carrozza ristorante, dove mi avrebbero fatto pagare un tost come un branzino, non ha aperto.
L'ultima parte del viaggio l'ho trascorsa guardando un film. L’altra volta in treno mi ero fatto una mini retrospettiva su Woody Allen: Prendi i soldi e scappa all’andata e Manhattan al ritorno. Ieri invece sono andato più sullo spettacolare : Iron Man.
mercoledì 14 ottobre 2009
Drinkin' songs (sing along) 5
Il brano è These boots are made for walking, e secondo me il fascino di questa canzone sta nel fatto che riesce ad essere innocente e diabolica allo stesso tempo. Deve averne intuito le potenzialità anche Stanley Kubrick che l'ha voluta per il suo Full Metal Jacket, e l'ha utilizzata come spartiacque tra le due parti del film, quella angosciante dell'addestramento, che si chiude con il fader sul corpo di Palla di Lardo appensa suicidatosi, e la seconda, che si apre in Vietnam con la vietcong che sculetta nel suo vestito leggero verso il locale.
Tra le altre cose, These boots are made for walking può vantare innumerevoli versioni da artisti delle categorie musicali più diverse. Potete farvi una discreta playlist solo con questa canzone, grazie alle versioni di Nick Cave, Jessica Simpson, Megadeth , Billy Ray Cyrus, Boy George, Geri Halliwell e persino Antonio Banderas e David Hasselhoff.
All together now!
You keep lyin' when you oughta be truthin'
You keep playing where you shouldn't be playing
martedì 13 ottobre 2009
Ancora una volta
Dopo la reunion dei scorsi mesi,è stata fissata per la settimana prossima l'uscita del nuovo disco degli Spandau Ballet, atteso dai fans da 21 anni. A raffreddare un pò gli entusiasmi la notizia che si tratterà di brani classici del repertorio dei cinque, riletti in chiave più attuale. I brani sono le hits più famose, ma anche pezzi meno commerciali.
Once More è il titolo del disco e di uno dei due inediti ivi contenuti (l'altro è Love is all).Come consuetudine in questi casi, i commenti dei componenti della band sono entusiastici e tutti coesi nell'affermare la rinascita del gruppo. Come consuetudine, tra poco cominceranno ad aprirsi le prime crepe...
A marzo saranno in Italia, e nonostante tutto confesso che ci sto facendo un pensierino...
La cover e la track list di Once more (16 ottobre):
domenica 11 ottobre 2009
Welcome to next level
W.U.T.I. OF: Regina Spektor, Begin to hope
Hair on parade
50 Red Hot Chili Peppers - "Give It Away"
sabato 10 ottobre 2009
Go Ireland! part 2
venerdì 9 ottobre 2009
The Shield: final season
mercoledì 7 ottobre 2009
Gli Arctic Monkeys menano rogna
martedì 6 ottobre 2009
See the future
domenica 4 ottobre 2009
300 (mila)
venerdì 2 ottobre 2009
One man band
giovedì 1 ottobre 2009
Gli zelig del rock
The Resistance arriva nei negozi dopo un enorme campagna pubblicitaria. Oramai quando le major hanno un gruppo che ritengono possa vendere qualche ciddì in più, lo pompano manco fossero i Beatles, cominciando mesi prima a parlarne in termini apocalittici. La promozione dura quanto le primarie del piddì.
Per essere un gruppo affermato da tempo e con un proprio brand personale, devo dire che i ragazzi saccheggiano mica male a destra e manca. In Uprising (il singolo che ha anticipato l'uscita dell'album) per fare un esempio, il tappeto di percussioni iniziale e tutto il brano fino al ritornello, ricordano molto da vicino alcune delle cose più recenti di Marilyn Manson.
L'opera è spesso in bilico tra una certa pomposità di fondo, un'utilizzo pop della musica classica (per i lunghi break di pianoforte), molte assonanze con i Queen. In questo senso, la traccia numero quattro, la lunga United States of Eurasia, paga un tributo così evidente al gruppo di Freddy Mercury da sembrare una autentica outtake da Innuendo.
Il disco si chiude con la suite in tre parti di Exogenesis. Qui emerge un certo amore per le colonne sonore strumentali e... per i Radiohead, sopratutto per l'uso del falsetto e delle sonorità orchestrali tipiche della band di Yorke.
Un imbarazzante disco di plagi quindi? No, o non solo almeno. Da neofita del gruppo trovo The Resistance un album piacevole. Il sound è apprezzabile, così come le composizioni e le aperture melodiche: un pop elaborato che riesce a non essere saccente.