Nemmeno un giornale comunista avrebbe sintetizzato meglio la porcata studiata da B. e condotta dai capitani coraggiosi ai danni di migliaia di lavoratori e degli italiani.
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You're a bum
You're a punk
You're an old slut on junk
Living there almost dead on a drip
In that bed
You scum bag
You maggot
You cheap lousy faggot
Happy Christmas your arse
I pray God It's our last
Una grandissima canzone, molto più sincera di altre dozzine di melasse d'amore o di natale, però chissà se chi l'ha mandata in diffusione, incastrandola magari tra un brano di Dean Martin e uno di Elvis Presley, è consapevole di commettere un azione che equivale a pisciare sull'albero di natale...
Hank III, Damn right, rebel proud. Non una recensione vera e propria, quella la rimando a quando avrò a disposizione i testi (a tal proposito lancio un appello a voi lettori: in rete sembrano introvabili!). Il disco è goddam good, meno selvaggio del precedente, ma sempre corrosivo e bastardo al punto giusto. The grand ole opry, me and my friends, Wild and free, P.F.F., Six packs of beer, Candidate for suicide sono già degli anthem.
John Mellencamp, Life, death love and freedom. Come per il precedente Freedom road, ma per ragioni diverse (quello a primo impatto era troppo easy, questo troppo oscuro) il Coguaro ci mette il suo tempo, ma poi ti entra subdolo sotto pelle. Questo disco potrebbe essere la sua personale "Nebraska". Produce T.Bone Burnette, e alla lunga si sente.
Kings of leon, Only by the night. Una bella sorpresa. Non mi avevano mai coinvolto prima, nonostante l'iniziale assonanza con i miei generi musicali favoriti. Questo qui invece, che qualcuno definisce la definitiva evoluzione del grunge, ha suono e personalità ben definiti. E' uno di quei dischi da ascoltare in blocco (solo dieci i pezzi), piuttosto che segnalare qua e la qualche traccia.
Mavis Staples, Live - Hope at the Hideout. Si può definire un live d'altri tempi. Quelli della Franklin (l'incantevole Live in Paris) per la precisione. C'è tutta la passione politica, l'orgoglio nero e la liturgia classica del cantante predicatore qui dentro. Oltre ai classici della Staples, della sua famiglia e alcuni standards adatti allo scopo (For what's it's worth dei Buffalo Springfield, Down in Mississippi di Ry Cooder, Will the circle be unbroken della Nitty Gritty Dirt Band). Classicone.
Ray La Montagne, Gossip in the Grain. Dopo tanti consigli inascoltati (anche del Maurino), ci sono approdato. Grande la soddisfazione per un album che parte come un disco di Otis Redding, con la strepitosa You are the best thing, e poi continua su binari più introspettivi, cantautoriali, con Let it be me e I still care for you (dalle parti dei Buckley). La traccia 6 s'intitola Meg White,ed è un'inaspettata dedica alla parte femminile dei White Stripes, eseguita su uno stile che mi viene da definire stop and go, ma non so se rendo l'idea. Hey me hey mama potrebbe rimandare a Anders Osborne, mentre Henry nearly killed me è un bluesaccio diabolico. Chiude la ballata folk che dà il titolo all'album. Autunnale.
Gaslight Anthem, The '59 sounds. Arrivano da qualche parte del New Jersey, grandi ammiratori di Springsteen e del punk inglese. L'open track Great expetactions chiarisce subito tutto il background, in Meet me by the river titolo e ritornello ("No surrender, my Bobby Jean")pagano il tributo alle canzoni storiche del Bruce locale. Devo aggiungere altro? Naaa. Niente di nuovo, ma cazzo, con attitudine.
Ryan Adams & The Cardinals, Cardinology. Il precedente Easy tiger sembrava un ottimo punto d'arrivo per questo geniaccio sregolato from Jacksonville, North Carolina, e invece, quasi inaspettatamente Adams e la sua cricca cacciano un altro masterpiece, se possibile superiore al suo predecessore. Una grande attenzione alla melodia e alle magniloquenti aperture dei ritornelli (Go easy; Fix it) ma anche qualche durezza da rock duro (Magick) e tanta ispirazione. Gli faceva difetto la continuità, direi che, se due indizi fanno quasi una prova, adesso ha anche quella.
The Boxmasters, omonimo. Quel simpaticone di Billy Bob Thornthon non molla la sua passione per la musica, d'altro canto da ragazzo, prima di essere un attore è stato batterista. Dopo i suoi esordi a proprio nome, con due dischi in cui ha messo in luce una buona voce da crooner, su melodie country rock, ecco il debutto della sua band, un power trio che si ispira, sia musicalmente che come look, ai primi sessanta. Il cd è doppio, un disco di cover e uno di brani inediti. Si passa dal rock and roll al country al pop sixties appunto. Un lavoro "spensierato", ma ben realizzato.
Frank Zappa, You can't do that on stage anymore. Il mio ennesimo tentativo di capire questo musicista. Spero sia la volta buona...