La tratta di esseri umani dalla Cina porta un carico di giovani donne destinate, a seconda, al lavoro clandestino, ai massaggi o alla prostituzione. Una di loro però ha un piano diverso con un obiettivo preciso e non è quello di finire vittima del racket.
La città proibita è una pellicola priva di imperfezioni? Decisamente no. Però Mainetti ha palle come cocomeri e incoscienza da vendere a buttarsi, oggi, in un'impresa folle come un film di arti marziali italiano.
Su come gira, magistralmente, c'è poco da dire e lo stesso vale per la capacità di messa in scena. A tal proposito tutta la sequenza iniziale che si conclude con la fuga dal ristorante cinese della protagonista Yaxi Liu, in cui da un non-luogo di schiavitù nelle viscere della terra, passando per un'anonima sala di ristorante, finiamo per strada, e scopriamo di essere dentro uno dei tanti quartieri multietnici, variopinti e caciaroni, di Roma, l'Esquilino, è qualcosa di notevole.
Come detto, non tutto funziona a dovere, in particolar modo nel secondo atto, nel quale assistiamo all'inizio della relazione tra Marcello (Enrico Borello, perfetto per il ruolo) e Xiao (Yaxi Liu, pescata dalle controfigure/stunt del cinema cinese, brava e intensa) che forse evidenzia la distanza ancora esistente tra il nostro action, acerbo, e quello fatto bene. I villain invece, che in queste produzioni, a mio avviso, devono necessariamente essere sopra le righe come quelli dei fumetti, sono azzeccati. Giallini, che fa Annibale, esponente di certa criminalità romana decaduta (il "Terribile" da anziano, se fosse sopravvissuto?), e tale Shanshan che interpreta il luciferino Mr Wang, con le loro contraddizioni e debolezze (uno l'amore per la famiglia di Marcello, non avendone una sua, l'altro per il figlio che lo ha ripudiato) sono funzionali al tipo di racconto.
Essere riusciti a produrre un film di questo tipo, in Italia, nel 2025, lo vivo con grande orgoglio patriottico. Per questo il giudizio che riconosco alla pellicola è magari superiore al valore oggettivo dell'opera. Accettiamo, o almeno proviamoci, la sfida di chi è più avanti di noi (Francia, Spagna, le inarrivabili Hong Kong e Corea del Sud che girano i combattimenti spesso in piano sequenza) e giochiamocela "rieducando" il pubblico a questo tipo di film fatto in casa. E' una risalita complessa e a grande rischio (soprattutto di abbandono per rinuncia dei produttori) ma non vedo altre strade se non quella di insistere.
Hold on Gabriele, hold on.