domenica 25 dicembre 2022

Una notte violenta e silenziosa (2022)

Un Babbo Natale, tra i tanti in giro nel periodo delle feste, si aggrappa stancamente al bancone di un bar mentre sorseggia senza convinzione una birra annacquata emettendo qualche rutto. Uno scambio di battute con un "collega" e poi riprende a lavorare. C'è però una piccola differenza tra lui e gli altri. Lui è quello vero. E pur essendo demotivato e del tutto disinteressato al suo ruolo, continua a girare case e lasciare regali. E' proprio mentre si trova in una casa di milionari, isolata dalle altre, dopo l'ennesimo cicchetto, che si addormenta profondamente fino a quando dei forti rumori lo svegliano di soprassalto. Intrappolato in uno scenario di guerriglia, dovrà tornare a vestire i  panni del violento guerriero che fu.

Davvero, quando si dice il caso. Qualche settimana dopo aver visto The trip su Netflix vado al cinema per questo Una notte violenta e silenziosa e solo con il consueto approfondimento post-visione scopro che dietro la mdp c'è lo stesso regista, Tommy Wirkola, del violento showdown norvegese. E in effetti, ormai, la mano del regista è riconoscibilissima attraverso la messa in scena di una violenza esagerata, grottesca, splatter e, va da se, divertentissima. 
E se è così, indubbiamente il merito va attribuito per larga parte al protagonista David Harbour, una vita da caratterista fino all'exploit di Stranger things e finalmente anche il giusto riconoscimento del cinema (ruoli importanti in Black Widow - con un personaggio "parente" di questo Santa Claus - e No sudden move). Al contrario il villain  John Leguizamo mi è parso davvero appesantito e fuori giri, senza comunque che questo abbia inficiato sul divertimento complessivo nel film.

Insomma, avevamo già cinematograficamente assistito alle gesta di babbinatale ladri, assassini, sconci e pervertiti, ma mai uno che, utilizzi uno spietato bagno di sangue per riconciliare anche i più cinici al vero significato del Natale. 

Altro che i cinepanettoni, questo è il miglior digestivo post pranzi/cenoni delle feste. E pazienza se non toccherete più un candy cane in vita vostra.

Al cinema. 

lunedì 19 dicembre 2022

Little Steven, Revolution (1989)

Nonostante per Little Steven valga la metafora di una vita da mediano, la sua produzione discografica non ha nulla da invidiare ai top player. Soul, rhythm and blues, classic rock, reggae, latin, imbullonati negli anni ottanta con un piglio da "protest song" caustico nei confronti degli USA e della loro politica imperialista. A chiudere quel decennio arriva, inaspettata, la svolta stilistica con Revolution, album votato ad un funk elettronico debitore di Prince, ricco di campionamenti (la strato di Steve, e in generale ogni traccia di strumento tradizionale, compare solo in un brano, Discipline) che è un manifesto politico devastante nei confronti del Sistema americano. Ogni singola traccia oltre a tirare altre badilate in faccia all'establishment USA, affronta temi quali l'alienazione, la deriva dell'informazione, la religione. Spiccano la title track, Where do we go from here, Leonard Peltier, Education, Liberation theology, ma data la particolare natura, il progetto va preso in blocco. Un lavoro che alle mie orecchie suona più convincente oggi che trent'anni fa. Di sicuro il disco che un certo Boss ha accarezzato (qua e là ci sono tracce del petting di Bruce con l'elettronica) ma non ha avuto il coraggio di fare. 

lunedì 12 dicembre 2022

Gangs of London, stagioni 1(2020) e 2 (2022)



Londra è (era?) la capitale europea della finanza, ma anche il cuore pulsante di speculatori, associazioni criminali internazionali e traffici sporchi di ogni tipo. Il tutto, a chi ci si arrischia, promette potere e ricchezza oltre qualunque immaginazione. In questo scenario, il delicato equilibrio tra le varie "cupole" della città viene rotto dall'omicidio di Finn Wallace, capo dell'omonima famiglia, che tiene le fila tra i clan e gestisce in esclusiva i rapporti con gli "investitori", in cima alla piramide di tutti gli affari, leciti ed illeciti, della City. Con il passaggio dei poteri al figlio di Finn, Sean, considerato non all'altezza del padre, oltre che un istintivo e un violento, l'equilibrio si spezza e si scatena la lotta per il potere dentro e fuori la famiglia Wallace.

Non mi ha conquistato immediatamente, Gangs of London, anzi devo ammettere che i primi episodi mi sono sembrati eccessivamente iperbolici, quasi da videogioco, il che può andare bene per determinati generi ma, pensavo, non per il crime. 
Col trascorrere degli episodi e, soprattutto con un finale di stagione (la prima) vertiginoso, mi sono completamente ricreduto e ho cominciato a sperare in una seconda stagione, che si è fatta attendere un paio d'anni, ma che alla fine ha ripagato ogni giorno di attesa, facendo deflagrare la storia in un bagno di sangue ancora più grande, in un ulteriore saldatura con i temi shakespeariani di famiglia e vendetta, e colpi di scena a ripetizione. 

Sono tante le influenze della serie, di sicuro anche quelle con le prime stagioni della nostra Gomorra, ma più guardavo Gangs of London e più ci vedevo analogie con i gangster movie asiatici attraverso scelte narrativo-stilistiche quali un'ultra-violenza che sfocia nel sadismo e, su tutto, l'assenza di una dicotomia assoluta tra bene e male: ogni spettatore sceglie per chi tifare tra i tanti personaggi che affollano la storia, nella consapevolezza che sono comunque, per ragioni diverse, tutti marci e corrotti, se non dalla fame di potere, da quella di rivalsa personale o vendetta. Quando finalmente ho dato una scorsa agli autori dietro al soggetto, la mia percezione ha trovato clamoroso riscontro: dietro al progetto (saltuariamente anche dietro la mdp) c'è infatti il mitico Gareth Evans, deus ex machina della saga thailandese The Raid, due film che rappresentano la migliore sintesi oggi possibile dell'action movie. 

Il cast, al netto del grandissimo irlandese Colm Meaney (Finn Wallace) e di Michelle Fairley (la moglie Marion, ce la  ricordiamo come miss Stark nel Trono di spade), è ottimamente composto di volti (a me) poco noti e caratteristi che fanno tutti un figurone, con una menzione d'onore per Sean Wallace, l'erede al trono, per cui il casting ha trovato la faccia perfetta in Joe Cole (Peaky Blinders).

Quando una serie crime, una gangster story, è costruita e messa in scena in maniera così avvincente, tesa, angosciante (guarda l'episodio 2X6 e poi ne riparliamo) e violenta, anche colpi di scena discutibili, come quello cardine della stagione due, trovano una loro giustificazione e sono quasi coerenti, hanno ragion d'essere nel contesto generale. Impossibile poi, non tornare fanboy ed attendere con impazienza la terza stagione dopo il cliffhanger che chiude la due.

Per gli orfani di quando Gomorra era una grande serie, per gli amanti del crime, dell'action, dell'horror/splatter e degli yakuza movie, una serie da non perdere per nessuna ragione al mondo.

Su Sky e Now




lunedì 5 dicembre 2022

Eric Clapton, 461 Boulevard (1974)

Ah! I dischi post-rehab delle rockstar! La ricorrente narrazione della sobrietà, del ritorno alla natura e alle cose semplici, financo al lavoro manuale (sebbene il tentativo di sfuggirgli sia stata la ragione primaria per cui, da giovani, avevano imbracciato uno strumento). Il ritorno di Eric Clapton nel 1974, dopo una iato di quattro anni infarcita di eroina e junk food, ebbe perlomeno due vantaggi: 1) fa giurisprudenza per tutti i comeback post stravizi a venire e, soprattutto, 2) contiene grande musica. Dieci pezzi, per gli allora canonici tre quarti d'ora di durata, di cui solo tre originali e composti da Slowhand, tra il midtempo e il lento (Give me strenght; Get ready e Let it grow), dopodichè: una partenza al fulmicotone (il traditional Motherless children, rivoltato come un calzino), omaggi blues a Wille Dixon (I can't hold out) e Robert Johnson (Ready rollin' man). Ultimo ma non ultimo la cover di un emergente artista jamaicano che proprio non convinceva Eric, ma che su insistenza dei producer fu inserita, e che, ovviamente, divenne uno dei più grandi successi del disco. Si trattava di I shot the sheriff di Bob Marley.

Nella foto l'edizione deluxe doppio cd del 2004