Stefano è un criminale al soldo di un potente uomo d'affari romano in odore di malavita. Per lui svolge ogni tipo di commissione violenta, dal pestare al gambizzare, fino all'omicidio. Per il resto conduce una vita anonima e solitaria, formalmente fa il buttafuori di un locale (dello stesso imprenditore) e frequenta una palestra. Ha un suo contorto senso della giustizia e infatti, durante una delle tante cene solitarie in un ristorante cinese, difende una cameriera dall'aggressività di un gruppo di teppistelli e da quell'episodio nasce con lei una storia destinata a cambiargli il corso della vita.
Una vita, la sua, autenticamente avventurosa iniziata con una formazione americana (New York - Actor's studio - e Los Angeles dove ha girato episodi di Beverly Hills 90210) e proseguita costantemente in trincea, durante la quale ha subito agguati a colpi di pistola, processi e finanche detenzione (con successivo proscioglimento con formula piena) nonchè di stridenti contraddizioni che lo vedono al tempo stesso ultras (della Lazio con orientamento politico affine) ma anche estimatore, come emerge chiaramente nelle sue opere, di neorealismo, Pasolini e Caligari (oltre che di Lenzi, Di Leo e Melville).
Nonostante la fede politica di destra, totalmente opposta alla mia, ho maturato apprezzamento e in qualche modo affetto per il lavoro ostinato, sfrontato, coraggioso e indipendente di Calvagna, oltre ad una condivisione delle sue analisi sul cinema italiano, anestetizzato dai soliti due tre argomenti dei soliti due tre nomi i cui progetti regolarmente ricevono finanziamenti pubblici, mentre chi si arrabatta e riesce miracolosamente a girare, produrre e distribuire (anche nelle sale) un film all'anno viene costantemente tenuto ai margini. Non c'è posizionamento politico in questa considerazione, solo un'amara, necessaria, dolorosa constatazione sullo stato dell'industria (???) del cinema italiano.
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