lunedì 3 ottobre 2022

George Simenon, I fantasmi del cappellaio (1949)


Fine anni quaranta, la cittadina francese di La Rochelle vive nel terrore per la presenza di un assassino che sta uccidendo una dopo l'altra donne anziane. Kachoudas, un sarto immigrato armeno, scopre casualmente un indizio che sembra accusare per gli omicidi seriali il rispettabilissimo e ben inserito cappellaio del paese, Leon Labbè.

I fantasmi del cappellaio è considerato uno dei più importanti libri noir di tutti i tempi. E' un romanzo che esula dal ciclo di storie che Simenon ha scritto con protagonista Maigret e, forse, proprio per questo, lo scrittore francese ha potuto operare in piena libertà e, soprattutto, fuori dai canonici tempi/vincoli delle indagini poliziesche. A dimostrazione di ciò, la tensione che regge la storia non è costruita sul mistero dell'identità dell'assassino che, prima ancora ci si cali nel mood della narrazione, è sostanzialmente svelato a pagina otto. Piuttosto Simenon il meglio lo dà nel raccontare, dalla soggettiva del cappellaio, la quotidianità di due personaggi, Labbè e Kachoudas, teoricamente divisi solo da una stessa strada, al punto che , tende permettendo, riescono a vedere uno nelle stanze dell'altro, vivendo così un pò nella pelle del rispettivo dirimpettaio, ma in realtà separati da una solida barriera sociale.

Questa condizione è descritta efficacemente dall'autore, che si sofferma sulle classi dei due protagonisti: quella del cappellaio, benestante e ben inserito negli ambienti locali, e quella del piccolo sarto, al contrario emarginato e tenuto a debita distanza, anche quando tenta di confondersi tra gli altri avventori al Cafè des colonnes, abituale ritrovo degli uomini del posto.  Una condizione che però, chissà, per Kachoudas potrebbe mutare, grazie alla taglia di ventimila franchi promessa a chi darà indizi concreti alla polizia per debellare la minaccia del serial killer. Una polizia che, a differenza dei settantacinque romanzi con protagonista Maigret, viene tratteggiata come incompetente e, impersonata dal commissario Pigeac, vanesia e ottusa. 

Simenon mostra la psicologia del serial killer con una modalità in netto anticipo su molta letteratura di genere a venire, scavando nell'impulso ad uccidere dell'assassino ben oltre il compimento del suo piano razionale, che, infatti, quando termina gli lascia un senso di vuoto, così come in anticipo sui tempi è la descrizione, anche qui lasciata tra le righe, dell'inconscio desiderio di essere catturato. 

L'edizione di Adelphi che ho letto riserva poi una sorpresa a quanti, come faccio io abitualmente, si immergono nella lettura senza vivisezionare indice o appendici del libro. La narrazione si conclude infatti a "sorpresa" quando mancano una settantina di pagine alla conclusione del volume, lasciandoti di sasso. Il motivo è presto detto: in coda al romanzo l'editore ha aggiunto la prima stesura di Simenon, dal titolo Il piccolo sarto e il cappellaio, molto più breve, che si fa apprezzare per il rovesciamento della prospettiva, da Lubbè a Kachoudas, e per un finale differente. Anzi, un doppio finale, perchè l'autore, evidentemente irrequieto sullo sviluppo della sua storia, ha sviluppato una conclusione alternativa (anch'essa presente in questa edizione). 
Entrambe le conclusioni non valgono comunque quella drammatica e amara, della versione definitiva.

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