Terzo album a proprio nome per Dee Snider, dopo il definitivo scioglimento dei Twisted Sister. Confermato il team artistico di questa fase della carriera del grande Dee, a partire da Jamey Jasta degli Hatebreed alla produzione. Confermato anche il mood del disco, che si muove su territori perlopiù attinenti ad un groove metal molto mainstream. Per fortuna, a differenza del precedessore del 2018, il deludente For the love of metal, questo Leave a scar registra una maggiore compattezza, alcuni pezzi anthemici ben riusciti e persino un paio di episodi old school, che fanno enormemente piacere.
Certo, sfido chiunque non sappia cosa sta ascoltando a ricondurre la cifra stilistica a Dee Snider (è come se Van Morrison facesse un disco con sonorità alla Beyoncè), ma ci sta che l'ugola del Queens voglia tentare l'ultimo abbrivio per raggiungere quella notorietà che ha (troppo) brevemente accarezzato quasi quarant'anni fa, ai tempi di Stay Hungry.
L'azzardo pare peraltro che abbia pagato, vista l'imponderabile entrata nel disco nella top 20 di Billboard, salutata da uno Snider eccitato come un bambino con un post su twitter.
Leave a scar è dunque un lavoro piacevole, il migliore dei tre finora rilasciati (qui l'esordio del 2016) dall'ex singer dei Twisted Sister. Resta il fatto che, ascolto dopo ascolto, i pezzi che preferisco sono quelli più canonicamente legati all'epoca d'oro dell'heavy metal: Open season, Silent battles e Time to choose, in cui il nostro è coadiuvato da George Fisher dei Cannibal Corpse.
E comunque, voci così compatte e potenti, in questo genere, a sessantasei anni suonati, non è che se ne trovino molte, in giro.
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