Dee Snider. Gente, io amo quest'uomo (lo so, è un incipit che comincio ad abusare).
La mia passione per i Twisted Sister risale all'adolescenza e in particolare ad una cassetta da novanta minuti sulla quale l'amico metallaro di seconda superiore mi registrò, su un lato Shout at the devil dei Motley Crue e sull'altro Stay hungry proprio de La Sorella Svitata. Con tutti i limiti artistici del caso, i Twisted Sister ebbero un ruolo di primo piano nella diffusione della musica dura tra la fine dei settanta e i primi ottanta, la loro miscela coniugava travestitismo alla New York Dolls, riff pesanti in odore di Black Sabbath e pezzi vigliaccamente orecchiabili, chiaramente glam. Ora, se vi dicessi che ogni cosa che hanno inciso fosse oro, mentirei spudoratamente. Ma diciamo che la triade Under the blade (1982); You can't stop rock 'n' roll (1983) e Stay hungry (1984) merita tutto il rispetto dovuto a chi ha inventato una forma di comunicazione rock, attraverso un ispirato taglia e cuci di chi li ha preceduti.
Dee tra l'altro, a livello personale, è riuscito a travalicare la notorietà della sua band grazie all'esposizione garantita da MTV e dal mitologico programma Headbangers ball, il format maggiormente responsabile della diffusione dell'heavy metal nell'intero globo, di cui il capellone frontman era conduttore.
Proprio qualche giorno fa (il 12 novembre, in Messico) i Twisted Sister, con l'ultimo concerto della loro esistenza, hanno chiuso la lunga storia della band (lasciandomi l'enorme rimpianto di non averli mai visti dal vivo) e Snider, a sessantuno anni, si è concentrato sulla propria carriera solistica,battezzata ufficialmente da We are the ones.
Il cantante del Queens aveva messo le mani avanti: "questo sarà un disco che si discosta totalmente dal mio sound abituale". Nessuno spiazzamento dunque se i nuovi pezzi non suonano come Destroyer o Burn in hell, piuttosto qualche imbarazzo nell'ascoltare pesantissime influenze (plagi?) di band attualmente affermate.
Partiamo dai Foo Fighters, enorme fonte di ispirazione su pezzi come Over again o Crazy for nothing, per passare al sound pulito, perfettino e trendy delle tante band nu nu metal assemblate per i passaggi sui moderni canali musicali (Close to you, Rule the world, Believe), oltre alla cover di Head like a hole, da Pretty hate machine, dei Nine Inch Nails.
Tutto da buttare quindi? Non solo per l'affetto e la riconoscenza che nutro nei confronti di questo personaggio, devo dire di no. Intanto perchè l'album scorre bene, è prodotto in maniera impeccabile, dura il giusto e si fa riascoltare, e poi in ragione del fatto che qualche picco d'ispirazione si trova. E guarda caso risponde a quei titoli che maggiormente richiamano la vecchia e gloriosa tradizione dei TS, come la title track, piazzata in apertura, e So what, a chiudere il lavoro. Giusto nel mezzo invece, una versione solo voce e piano dell'anthem We're not gonna take it che vorresti con la parte razionale del cervello bollare come irrimediabilmente kitsch, ma che invece ti trovi ad apprezzare.
A new life for an old rocker.
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