Non sempre mantengo gli impegni assunti, ma a sto giro sono contento di averlo fatto, perchè con Brawl in a cell block 99 chiudo la breve ma intensa filmografia di S. Craig Zahler (recensita qui) e la chiudo col botto, cioè con la sua pellicola migliore.
Bradley Thomas (Vince Vaughn) ha avuto una giornata di merda. Licenziato a causa della crisi, torna a casa in anticipo e scopre che Lauren, la moglie (Jennifer Carpenter), ha un amante. Dopo un comprensibile scoppio d'ira sfogato sulla macchina di lei, letteralmente scarnificata a mani nude, Brad ritrova la calma, parla con la moglie e decide di dare una svolta alla loro vita, altrimenti senza sbocchi, tornando a fare il corriere della droga per Gil, un suo vecchio boss.
Passa il tempo e va tutto benone, i soldi girano e Lauren è in dolce attesa, fino a quando Gil si mette in affari con i messicani, obbligando Bradley ad un recupero di droga in mare assieme a due sgherri, appunto messicani, di cui il nostro diffida. Come prevedibile la situazione precipita e Bradley viene arrestato. In prigione scoprirà che il tempo da scontare non è il suo principale problema perchè il cartello metterà in atto contro di lui un'ignobile vendetta.
Ma Bradley Thomas non è tipo da starsene a guardare.
L'ho detto in premessa, questo è un filmone. Vince Vaughn fornisce probabilmente la sua migliore prova d'attore, e d'altro canto Zahler si gioca tutte le carte su di lui, standogli sempre appiccicato con la macchina da presa, sfruttando al massimo la sua fisicità e regalandogli un character meraviglioso: un omone calmo, intelligente, inoffensivo, almeno fino a quando non è obbligato a combattere per la vita della propria famiglia. In quel caso si trasforma in un golem dall'incedere lento ma inarrestabile, una figura dolente, drammatica, vendicativa.
Al terzo film di Zahler la mano del regista è ormai riconoscibilissima: narrazione lenta, sensazione costante di angoscia, attesa di una deflagrazione improvvisa e imminente, ultima parte violentissima.
La sequenza iniziale in cui Vaughn vandalizza a mani nude un'auto è qualcosa di sensazionale, mai vista in precedenza. Lì si intuisce tutta la personalità di Thomas, un uomo ferito e umiliato dalla vita che dà sfogo alla sua rabbia devastante senza torcere un capello alla moglie con la quale invece è poi comprensivo e consapevole dei suoi errori di marito.
Si tratta ovviamente solo dell'antipasto, perchè in galera succederà qualcosa che obbligherà Bradley a rivolgere la sua forza contro tutti quelli che gli si frappongono, siano essi secondini o altri carcerati, massacrati a mani nude in scene di lotta crude, realistiche ed efficaci come non è comune vederne.
Il finale del film, splendido, trova poi un equilibrio difficile ma perfetto, tra vendetta, violenza bruta, sentimento e persino poesia.
In un film così, che è davvero un one man show, si segnalano comunque le buone prove attoriali di Jennifer Carpenter (ripescata in un cameo anche in Dragged across concrete) nel ruolo della moglie; un terribile e glaciale Udo Kier, lo sgherro dei messicani, e Don Johnson, lo spietato direttore della prigione, che in questa fase della carriera, attraverso piccole parti spesso da villain (Django, Watchmen la serie, Knives out, Cold in July, Machete, lo stesso Dragged across concrete, solo per citarne alcune) sta recuperando grande dignità rispetto ad una carriera che si era arenata in interpretazioni/bancomat (qualcuno ricorda Torno a vivere da solo di Jerry Calà?).
Un gran bel film che (ri)porta il genere a vette altissime.
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