Dopo aver subito un brutale pestaggio che gli ha lasciato profonde cicatrici psicofisiche, Mark Hogancamp passa le sue giornate allestendo maestosi set per bambole (modello Barbie, per intenderci) in casa e in giardino, dove vivono avventure ambientate in un ipotetico paese belga (Marwen, che in realtà è la crasi tra il suo nome e quello della sua ex, Wendy) ai tempi della seconda guerra mondiale.
Leader del gruppo di "pupe", come le chiama lui, è l'alter-ego di Mark, una sorta di Big Jim soldato, chiamato Capitan Hogie. Dentro le storie e attraverso i personaggi di questo set perpetuo, Mark fa rivivere a codeste figure di plastica le sue gioe e i suoi traumi, dando ad ognuna di esse nomi e comportamenti delle persone da lui conosciute nella vita reale.
Tratto da una storia vera che era stata raccontata nel documentario del 2010 Marwencol (la differenza tra i due titoli è svelata nel finale) e messa in scena con classe ed eleganza da parte di Robert Zemeckis, Benvenuti a Marwen, attraverso la vicenda di Mark, e dentro una messa in scena che oscilla tra live action e modalità stop motion delle bambole, spiega meglio di un trattato psicologico i ricoveri che la mente umana si crea per rifugiarsi dai traumi più terribili. Le abitudini, le fisse, la ripetitività delle giornate, dentro le quali Mark affoga le sue angosce sono, in forme ovviamente diverse, le stesse che molti di noi utilizziamo. E anche lo sguardo sprezzante di quanti vedono questo uomo bambino come un diverso da disprezzare è il medesimo che, a volte, ci è capitato di subire.
Il film non è un one man show, ma la bravura di Steve Carrell nel dare volto e fisicità sofferta a questo character è tale che davvero non si hanno occhi che per lui e per i demoni interiori che lo dilaniano.
Film semplicemente incantevole, in bilico tra fiaba e quotidiana disperazione.
Un balsamo per l'anima.
Un balsamo per l'anima.
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