Dopo una difficile fase della vita che probabilmente ha rappresentato una sorta di catarsi, Lindi Ortega, tornata nella natia Toronto, torna a fare quello che le riesce meglio, vale a dire esprimersi assecondando le sue influenze, etniche (essendo lei figlia di genitori messicano-irlandesi), e artistiche (l'amore per il country folk).
E ben vengano allora tutti i peggiori struggimenti esistenziali, se, a dimostrazione della teoria che l'Artista crea le sue cose migliori nei periodi più bui, il risultato è un disco bellissimo, forse il migliore della sua carriera.
La ragazza dai piccoli stivali rossi (Little red boots, titolo del suo debutto su major) , dopo un EP che è servito a rimetterla splendidamente in pista, assembla un 15 tracks nel quale fa confluire, assieme al suo stile ormai consolidato, splendide e sognanti atmosfere western, prendendo in prestito melodie morriconiane (per Through the dust, strumentale diviso in tre parti, all'inizio, a metà e a fine disco) o la lingua spagnola (le struggenti Pablo e Gracias a la vida, classico cileno di Violeta Parra già ripreso da Joan Baez e molte altre, persino Gabriella Ferri).
Ovviamente il core business dell'album è un elegantissimo e delicato country folk, su musica e testi firmati dalla stessa Linda, che confermano i livelli di eccellenza raggiunti come musicista a tutto tondo. Canzoni evocative e profonde, come Afraid of the dark, Til my dyin day, Lovers in love non lascerebbero indifferente nemmeno un frigorifero, e il rock di frontiera Darkness be gone fa faville con il contrasto tra liriche western e musiche ariose sulla strada polverosa consumata prima di lei da Marty Stuart. Bene anche la liason con il pop folk dell'orgogliosa You ain't foolin' me.
Un ritorno che fa la felicità di quanti cercano l'autenticità da una musica tanto sputtanata quanto ancora viva e palpitante, se ad interpretarla c'è gente come Lindi Ortega.
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