lunedì 14 maggio 2018

Bullet, Dust to gold

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Altra band svedese di retro rock, i Bullet si formano a Vaxjo nel 2001. Qualche anno dopo (2006) esordiscono con il primo full lenght (Heading for the top) che subito li segnala come grandi appassionati di tutto ciò che è metal anni ottanta: dal look, alla copertina del disco fino, ovviamente, allo stile, che richiama, tra gli altri, AC/DC, Judas Priest e Accept.
La band cresce nei consensi di pubblico e raggiunge probabilmente il suo apice creativo con Bite the bullet (2008) e, soprattutto, Highway pirates (2011), che consolidano il marchio di fabbrica musicale, confermato poi dai successivi Full pull (2012) e Storm of blades (2014).
Ci vogliono quattro anni perchè il combo, ben saldato attorno all'imponente singer Hell Hofer e all'ascia Hampus Klang, rilasci l'oggetto di questa recensione, la settima fatica: Dust to gold.
Chiaro che ogni valutazione su un genere musicale così derivativo si basa fondamentalmente su due elementi: la capacità di replicare credibilmente le sonorità di riferimento, attraverso canzoni nuove che incarnino la filosofia ispiratrice e, elemento del tutto soggettivo, la predisposizione dell'ascoltatore a lasciarsi andare senza troppe menate.
I Bullet con Dust to gold centrano appieno questi due obiettivi, regalandoci un disco che è la quintessenza del roccherrol metallaro degli eighties, con uno stile che è il figlio bastardo di AC/DC e Accept, tanta attitudine e refrain killer come da manuale. 
L'opener Speed and attack mette da subito le cose in chiaro, Ain't enough le sancisce in bolla papale e così via via fino alla conclusiva title track, passando per il tamarrissimo finto live di Highway love, che nonostante tutto, riesce a starci dentro alla grande.

Fun, fun, fun.




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