L'insegnate di storia e letteratura di Stefano, per meglio inquadrare il periodo oggetto di studio, relativo alla seconda guerra mondiale, ha indicato alla classe di leggere Un sacchetto di biglie, di Joseph Boffo.
Come spesso tento di fare, non sempre riuscendoci, mi sono messo a leggerlo anch'io, in contemporanea a mio figlio, per capire il livello del testo rispetto alla possibile comprensione del ragazzo.
Risultato: l'ho finito in due giorni.
Il libro è un romanzo autobiografico che racconta le (dis)avventure del suo autore quando, nel 1941, all'età di dieci anni, insieme al fratello di due anni più grande, ha dovuto, su impulso del padre, fuggire da Parigi per evitare la deportazione, diretto verso una rete di amici e conoscenti che vivevano nelle zone libere della Francia.
Il racconto, un incredibile odissea che avrebbe avuto bisogno di tutta la fantasia di un Twain o di un London per essere inventata di sana pianta, tiene in equilibrio l'innocenza e la meraviglia tipicamente fanciullesche, che trasformano in gioco anche le situazioni più disperate, con la più immane delle tragedie, comunque mai resa in maniera compassionevole, passando per il precoce e violento transito alla vita adulta di due bambini (a cui, per inciso, va enormemente meglio rispetto a tanti altri).
Il libro emoziona, commuove (per quanto mi riguarda fino alle lacrime), indigna e, ancora una volta, consolida le convinzioni di chi, come me, detesta i revisionisti storici quasi più dei (neo)fascisti e prova un senso di frustante irritazione quando si ignorano le pericolose analogie tra i fatti della nostra storia e il presente.
Boffo, classe 1931, pubblica il racconto nel 1973, a 42 anni. Due anni dopo ne viene tratto un film, una graphic novel nel 2011 e un altro film, recentissimo, l'anno scorso.
Da leggere e far leggere ai figli.
Da leggere e far leggere ai figli.
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