Nella
sua lunghissima carriera artistica, che, limitandosi al lavoro da
regista, l’ha visto esordire nel 1959 con Totò e Fred Buscaglione
(I ladri) per poi girare ogni tipo di genere cinematografico (dai
musicarelli alle commedie ai film con Franco e Ciccio, ai western ai thriler alla fantascienza all’horror), Lucio Fulci è stato costantemente
inviso alla critica italiana, anche quando quella internazionale
(Francia e USA su tutti) al contrario lo osannava (soprattutto in
tema di horror) per il suo stile, la sua messa in scena e le sue
trovate innovative, che assumevano un valore ancora più elevato se
si pensa che venivano realizzate con budget ridicoli.
Il
tempo, una volta tanto è stato galantuomo, se oggi il regista è
stato completamente rivalutato ed è diventato oggetto di culto di
tanti appassionati cinefili italiani (che magari si sono convertiti
anche grazie a registi come Raimi o Tarantino che non hanno mai
nascosto la loro adorazione per il cineasta romano), ma quarantanni
fa una delle poche eccezioni alla regola degli strali del giornalismo
italiano fu Sette note in nero, uscito nel 1977, che riuscì nell'impresa di coniugare un buon successo di critica e di pubblico.
Rivedendolo,
se ne colgono al volo le motivazioni trattandosi di un film teso,
serrato, nel quale suspance, paure ancestrali e inconscio si prendono
il proscenio lasciando al sangue un ruolo marginalissimo in quanto totalmente superfluo alla narrazione.
Virginia
(una meravigliosa Jennifer O’Neil), che ha subito un trauma infantile
avendo avuto una visione che anticipava il suicidio della madre, da adulta comincia ad avere
nuove visioni, nelle quali assiste a flash che le mostrano una donna colpita a morte che viene murata ancora agonizzante.
Virginia, che è assistita da un psicoterapeuta, attraverso improvvisi flash comincia a scoprire sempre più particolari della scena,
individuando in un casale di campagna abbandonato, di proprietà del
neo marito (Gianni Garko) la stanza dove avviene il delitto delle sue
premonizioni e scoprendo anche che, nel punto preciso da lei “visto”
è murato lo scheletro di quella che si scoprirà essere una giovane
donna. Ma non è quello il delitto che la O’Neil vede chiaramente
nelle sue visioni…
Fulci
riesce a mettere in scena una storia che si sviluppa a spirale, trasmettendo angoscia e tensione, in bilico tra stilemi narrativi cari a Poe e dinamiche che richiamano Hitchcock, potendo contare nella colonna sonora di un main theme che segue gli
stilemi del periodo (L’esorcista di Mike Olfield, Suspiria dei Goblin) in maniera spaventosamente
efficace (per la cronaca le note del tema che prende il titolo dal film, composte da Frizzi, Bixio
e Tempera, sono riprese da Tarantino in Kill Bill nella sequenza in
cui la Thurman si sveglia dal coma e aggredisce l’infermiere
stupratore).
Insomma, Sette note in nero si merita l'appellativo di classico (magari minore) della filmografia thriller italiana, che mantiene, a quarant'anni di distanza dalla sua uscita, tutto il suo impatto sullo spettatore.
Insomma, Sette note in nero si merita l'appellativo di classico (magari minore) della filmografia thriller italiana, che mantiene, a quarant'anni di distanza dalla sua uscita, tutto il suo impatto sullo spettatore.
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