Con
la paziente metodicità che lo contraddistingue in questa parte della carriera, a tre anni dal precedente Plain spoken (e a quarantuno
dal debutto Chestnut street incident), John Mellencamp rilascia il suo
ventitreesimo lavoro di studio.
E
Sad clowns and hillbillies è un disco particolare, un grande fiume
placido alimentato da tanti affluenti diversi, con canzoni che
riemergono da cassetti dove erano state riposte da tempo (Sugar hill
mountain, scritta per la colonna sonora del film Ithaca - diretto da
Meg Ryan, ex del Coguaro - ; What kind of man I am e You are blind -
rispettivamente di Kris Kristofferson e Ryan Bingham - già contenute
nel soundtrack del musical Ghost brothers of darkland country; All
night talk radio, outtakes di Mr Happy go luck del 1996),
collaborazioni low profile, come quella con la country singer Carlene
Carter (figlia di prime nozze di June Carter e quindi discendente della gloriosa Carter Family) della quale Mellencamp si deve essere artisticamente
innamorato, visto che l'ha voluta ad aprire tutte le date del tour
precedente e che duetta con lui su ben cinque tracce delle tredici
previste; contributi inaspettati, come per Grandview, pezzo del
repertorio del cugino di John, artista minore di una band
dell'Indiana.
Detta
così l'album potrebbe apparire come una scatola contenente tessere
di diversi puzzle che non hanno possibilità di armonizzarsi. In
realtà il risultato finale è un'opera 100% mellencampiana, che
musicalmente riserva è vero, poche novità, ma che nasconde dietro
il suo andamento pigro tipicamente del sud americano, una grande
anima sociale e introspettiva, cifra
autoriale consolidata
dell’artista.
Come
un vecchio ma affascinate pick-up diesel, il disco parte in maniera
lenta, quasi svogliata, ma, raggiunto il numero giusto di giri, tiene la strada che è una meraviglia mettendo il passeggero nella condizione più
agevole per intraprendere un viaggio suggestivo e affascinate che
raggiunge luoghi malinconici (Mobile blue; Battle of angels), concede accelerate da vecchio Coguaro (All
night talk radio e Grandview,
featuring Martina Mc Bride), scorci per innamorati (Indigo sunset), soste dai sapori speziati nella migliore tradizione
old time dixieland (Sugar Hills mountains e Sad clowns), e un finale
che è un autentico colpo di coda, grazie al dittico composto da una
poesia di Woodie Guthrie, messa in musica su espressa richiesta della
figlia del più importante degli hillbillies, che diventa un magnifico
spiritual (My soul’s got wings) e una Easy target, forse il mio
pezzo preferito, in cui John incontra le atmosfere del Tom Waits
periodo Blue Valentine.
Ad
ascoltare quanta passione per la musica tradizionale
americana Mellencamp riesca ancora a mettere nelle sue opere (questa
è sicuramente da annoverare tra le migliori degli ultimi tre lustri), aumenta in maniera esponenziale l’amarezza
per l’amore mai sbocciato tra il rocker dell’Indiana e l’Italia,
certificato purtroppo dall'esito zoppicante dell'unico, attesissimo concerto in quel di Vigevano (che comunque si è meritato una doppia recensione, qui e qui). Se il messaggio è: fatevi abbastare i miei dischi, con lavori della qualità di Sad clowns & hillbillies ce la possiamo anche fare.
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