Il pop elegante degli ABC non ricorre abitualmente nei miei ascolti, anche se rappresenta bene un periodo spensierato della mia vita, nel quale, oltre ai dischi baricentrati essenzialmente sulle varie sfumature del rock, si ascoltava anche molta radio che mandava generi musicali più diversificati.
Oggi della band che ci ha regalato grandi singoli come Poison arrow, (How to be a) Millionaire, Be near me, S.O.S. e When Smokey sings è rimasto il solo Martin Frey, stilosissimo vocalist storico, che si gioca una carta alla quale normalmente sono allergico: quella di titolare un disco nuovo come parte due del proprio lavoro di maggior successo. Così, se The lexicon of love nel 1982 aveva acceso un faro su una nuova band rientrante nella new wave inglese, forzare un link quasi trentacinque anni dopo, oltre ad apparire come la carta della disperazione, poteva finire per contaminare anche l'innocente ricordo dei fasti passati.
Fortunatamente non è andata così, perchè The lexicon of love II si muove in punta di piedi ma con efficacia su di un brand stilistico all'epoca riconoscibilissimo, rilanciandolo con classe. Già a partire dall'opener The flames of desire e dal successivo Viva love, il primo singolo estratto, per buona parte della tracklist (fatto salvo qualche inevitabile filler), ci si muove infatti sulle stesse coordinate che ci avevano fatto scoprire e apprezzare gli ABC, conducendo così in porto un operazione solo apparentemente semplice,
Un modo elegante per restare aggrappati alla gloria del passato.
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