Con Gunslinger Garth Brooks si scrolla di dosso la ruggine di tanti anni di inattività e i rancori verso il music business che avevano caratterizzato il buono ma un po' farraginoso comeback del 2014, .
Qui invece, già a partire dalla copertina, che riprende lo stile fotografico dei grandi successi dell'artista di Tulsa, siamo in piena Garth Brooks's comfort zone.
E infatti Honky-Tonk somewhere, la traccia che apre il lavoro, è finalmente un sontuoso honky tonk, materia nella quale il nostro ha sempre avuto pochissimi rivali, creato scientemente per infuocare i grill bar preferiti da tutti i redneck americani.
Ogni cosa è al suo posto, in questo lavoro: il timing che varia dai trentacinque ai quarantadue minuti a seconda delle versioni del disco, il numero delle tracce (dieci/dodici), il bilanciamento tra le diverse anime country dei pezzi, che viaggiano tra sentimento (Ask me how I know; Whiskey to wine - l'immancabile duetto con la moglie Trisha Yearwood - ), honky tonk (Baby let's lay down and dance, oltre alla già citata opener), ma anche prove muscolari (BANG! BANG!) e una riuscita incursione nello stile classico di John Mellencamp (Sugar cane).
Nella versione deluxe, inoltre, il rifacimento di uno dei pezzi più noti di Brooks, Friends in low places, verniciato di nuovo grazie al lussuoso contributo di George Strait, Keith Urban ed altre star country.
La quasi contemporanea uscita del doveroso (in ambito country) album natalizio, il quarto in carriera, in duetto con la gentile consorte, certificano che Garth Brooks ha ripreso il giusto ritmo discografico.
La cosa ci fa un enorme piacere.
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