lunedì 29 dicembre 2014

Garth Brooks, Man against machine


Stavo per tediarvi con una breve cronistoria di vita e carriera di Garth Brooks, poi per fortuna mia e vostra mi sono reso conto che l'avevo già scritta qui, perciò se vi va andate a leggerla e una volta tanto saltiamo i convenevoli. 
Diciamo soltanto che in un periodo, gli anni novanta, in cui i miei gusti erano agli antipodi rispetto al country, Brooks mi ci ha fatto avvicinare e ancora oggi che di redneck music ne ascolto invece a vagonate, resta lui l'unico artista mainstream che seguo. Attendevo dunque con una certa eccitazione il suo ritorno sulle scene, dopo il lungo esilio volontario (l'ultimo disco è del 2001) per stemperare le tensioni con il music business e godersi seconda moglie (la collega Trisha Yearwood) e figli.
Le cicatrici delle sue battaglie contro major e file sharing si prendono comunque la scena con l'apertura di Man against the machine, titolo dell'album e della prima omonima traccia, deputata ad introdurre l'opera. Brooks sceglie non a caso di ripresentarsi sulle scene attraverso un brano non country ma venato di soul bianco, corredato da un lirismo drammatico e avvalendosi di un arrangiamento che, nonostante danzi in pericoloso equilibrio con il farsesco per l'uso di campionamenti di soldati in marcia, risulta convincente.
Sono necessari invece più ascolti per convivere con la scelta dell'artista di mettere da parte i pezzi più tirati e concentrarsi sulle atmosfere maggiormente introspettive e sulle ballate, nelle quali comunque la classe superiore di Garth emerge cristallina, come in She's tired of boys (interpretata in coppia con la Yearwood), nella spettacolare Cold like that o in Mom, l'immancabile (in ambito country) dedica alla madre. Il disco va su di giri unicamente con Rodeo and Juliet, honky tonk che riporta ai bei tempi di Ropin' the wind, per poi tornare a farsi riflessivo con Cowboys forever, Send'em down the road, You wreck me o il country-blues Tacoma.
L'album, uscito a novembre,  non ha spaccato le classifiche americane come erano solito fare le precedenti produzioni di Garth Brooks, di acqua sotto i ponti, musicalmente parlando, ne è passata tanta in quasi tre lustri, ma le canzoni di Man against the machine hanno dalla loro le caratteristiche giuste per diventare dei classici moderni e l'album un buon long seller.

L'elemento più importante è che Garth sia tornato. Certo, non ha sfornato un capolavoro, ma solo una raccolta di canzoni pregiate, suonate ed interpretata con passione. E con tutta la roba usa e getta che gira a Nashville di questi tempi, va benone così. 
Speriamo solo di non dover attendere altri tredici anni per il prossimo episodio (il numero dieci) della sua discografia.

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