Bloodshot Records, 2012
E' la prima volta che mi occupo di un lavoro di Justin Townes Earle. Bizzarro, considerata la mia passione per il papà Steve e visto che il ragazzo (beh, insomma quest'anno ha toccato i trenta) è già giunto alla quinta prova discografica (senza peraltro farsi pesantemente mancare gli stravizi - alcol e droghe - del genitore e dello "zio" Townes Van Zandt).
Il campo da gioco in cui si muove Justin è senza dubbio quello paterno, americana nelle sue incarnazioni più introspettive, folk e cantautoriali. I am that lonely tonight, che apre il lavoro, è in questo senso esplicativa del mood dell'album e del songwriting di Earle jr, un pezzo malinconico con un protagonista drifter ed un risvolto autobiografico (Hear my father on the radio / singing Take me home again / three hundred miles from the California coast / and i'm skinny bones again ). Potrebbe essere un lento alla Springsteen se non fosse per quella delicata tromba a tinte pastello inserita verso la fine (una costante dell'album, quella dei fiati utilizzati in misura non invadente).
E' questo un pò il senso complessivo della musica di Justin: non rinnega le sue radici, le sue influenze (per Unfortunately Anna fa capolino quella di Ryan Adams), il suo stesso DNA, ma cerca di imprimere a ciò che crea il suo tocco artistico personale. Così per Look the other way la palla sarebbe nel campo da gioco di Earle sr, ma ci pensa l'arrangiamento imprevedibilmente soul a sparagliare le carte. La cornice soul tornerà a fare capolino più in avanti con la dinamica Baby's got a bad idea.
E' chiaro comunque che è nelle ballate che il nostro si esprime meglio, e tra di esse prevalgono per delicatezza la jazzata Down on the lower east side e la minimale Won't be the last time.
Un lavoro più che buono, che evidenzia come sarebbe ingiusto considerare Justin Townes Earle solo in quanto "figlio di", anche se è quello che inconsapevolmente devo aver pensato fin qui io. Tocca recuperare.
7/10
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