mercoledì 30 novembre 2011

MFT, novembre 2011

ALBUM

99 Posse,
Cattivi Guagliuni
In Flames,
Colony
David Bromberg,
Use me
Chickenfoot,
III
Lou Reed/Metallica, Lulu

Anna Calvi, omonimo
Kenny Wayne Shepherd, How i go
Wagons, Rumble, shake and tumble
Kurt Vile, Smoke ring for my halo
Hank III, Attention deficit domination

Volbeat, varie 2005/10
Tom Waits,
Bad as me
Mastodon,
The hunter
Black Sabbath,
Reunion
Artisti Vari,
The lost notebooks of Hank Williams
Ryan Adams,
Ashes and fire
Arch Enemy,
Khaos legion
JJ Grey & Mofro, varie 2001/10




VISIONI

Fringe,
stagione uno
The walking dead,
stagione due



LETTURE


Anthony Kiedis, Scar tissue

martedì 29 novembre 2011

Vite incomplete




Quando si fa un film con o sugli adolescenti si rischia sempre. O di uscirsene con seriosissimi pamphlet storici-sociali o con robe superficialette che trovano ampio spazio su riviste del calibro di Top Girl o Cioè.


Francesco Bruni (carriera da sceneggiatore, qui all'esordio anche come regista) riesce invece ad evitare in scioltezza entrambe le trappole e confeziona un prodotto credibile e divertente. Certo, gran parte del merito va ascritto, e non è certo una novità, a Fabrizio Bentivoglio, mostruoso nella sua recitazione per sottrazione, i suoi stati d'animo prima ancora che con le battute, sono percepiti attraverso la postura, gli sguardi, l'incedere, le espressioni, la comunicazione non verbale. Il suo personaggio è Bruno, ex professore e scrittore che oggi tira avanti con le ripetizioni private e il ruolo di ghost writer per le autobiografie di personaggi famosi. La sua è chiaramente una solitudine rassegnata ma, si intuisce, non meno dolorosa. A frantumare fragorosamente i suoi spazi ed i suoi tempi ci pensa Luca, quindicenne sveglio ma ignorante, di cui Bruno dovrà improvvisamente occuparsi a causa di un evento imprevisto.


Il canovaccio del film è tutto qui, nel mezzo c'è però un modo brillante per raccontarlo, un grande attore, camei divertenti in parte riusciti (Barbora Bobulova è Tina, pornostar arricchita a cui Bruno sta scrivendo la biografia ) in parte meno (Vinicio Marchioni nei panni de Il poeta, boss criminale che cita Pasolini e obbliga la sua cricca a vedere Truffaut, è un pò troppo tirato per i capelli, benchè gustoso). Ben scelto anche Filippo Scicchitano, l'interprete di Luca, ragazzo in un fisico da adulto con ben impressi ancora sul volto i lineamenti da bambino.


Il film alterna bene i momenti divertenti a quelli drammatici, certo non è immune da critiche (ci risparmia la storiella d'amore adolescenziale, ma non quella, abbastanza telefonata, tra Tina e Bruno) ma tra diverse citazioni a Romanzo criminale (la presenza stessa di Marchioni nel ruolo di boss, un dialogo tra Luca e l'amico, il colloquio finale tra Il Poeta e Bentivoglio) e l'invadente musica di Amir, alla fine sono di gran lunga gli elementi positivi ad emergere rispetto a quelli negativi (considerato anche che si tratta di un'opera prima).






Una sintesi all'italiana tra il Grande Lebowski (per l'astrattezza del vivere di Bruno) e Wonder Boys (sul tema giovani talenti invecchiati male).

lunedì 28 novembre 2011

Giorni luminosi






JJ Grey and Mofro
Brighter days (Alligator Records), 2011


JJ Grey and Mofro è una realtà che negli USA si è ritagliata da tempo uno zoccolo duro di fans grazie ad una carriera ormai decennale, un'intensa attività di concerti ed un sound di matrice rock n' soul che ha il ritmo del funk e sconfina nell'errenbì con una predilizione per i lenti o i midtempo rispetto ai brani veloci.
La band, guidata da JJ Grey (voce, chitarra,armonica e piano) comprende nella sua line-up, oltre agli strumenti tradizionali anche un piano hammond ed una sezione fiati.

Escluso Brighter days, live celebrativo uscito anche in dvd, i Mofro's hanno già inciso cinque album costruendosi una buona credibilità nelle scene americane, sulla scia delle cose più black oriented di band bianche come i Little Feat, pur non disdegnando a volte rimandi alla Dave Matthews Band e all'aspetto meno cervellotico delle jam bands.

Non tutte queste sconfinate sfumature emergono dall'ascolto dalla prima raccolta dal vivo del combo, e qualcosa,inevitabilmente, resta fuori (un posticino nella tracklist per Hide and seek, Slow, hot and sweeaty e The devil you know io l'avrei trovato), ma al netto di questa osservazione quello che emerge è la confidenza che la band ha con la dimensione live e la partecipazione del pubblico al concerto. Sembra che l'audience non aspettasse altro che brani quali l'opener Country ghetto o Lochloosa, dilatata fino a superare gli undici minuti, e ancora la title track, Ho cake, The sweetest thing per scatenare tutto il proprio entusiasmo per queste note calde, vibranti e sexy.

Sì perchè l'opera dei JJ Grey and Mofro ha la particolarità di riconciliarti con l'aspetto più interiore della musica, l'impasto compessivo del sound, i break dei fiati, il basso, l'hammond producono, quando sei della predispozione giusta, quasi uno stato di empatia assoluta. Un'ottimo groove, magari niente di innovativo o originale, ma suonato con onestà e passione, questo è garantito.








sabato 26 novembre 2011

Album o' the week / Eels, Electro shock blues (1998)



Electro shock blues è considerata da molti l'opera migliore di Mr. E.

E' anche il risultato artistico del periodo più triste della vita di Everett, che nei mesi precedenti alla sua uscita ha perso prima la sorella per suicidio e poi la madre a causa di un male incurabile. Oltre ad essere chiaramente autobiografico, molti pezzi elaborano quelle dolorose esperienze (Climbing up to the moon, Dead of winter) con risultati strazianti e poetici. L'album contiene anche Cancer for the cure, usata nel soundtrack di American beauty, Going to your funeral e P.S. You rock my world.

Se in questi giorni vi sentite malinconici.

venerdì 25 novembre 2011

La madre di tutte le notti






Il primo pensiero è andato all'odiosa azione dei vecchi e nuovi revisionisti storici.
Se davvero si vuole fare un processo alla storia, un'analisi seria alle tremende dinamiche che si sono sviluppate prima, durante e dopo la seconda guerra mondiale, basterebbe rileggere l'opera di Vonnegut. Lì c'è tutto. Il continuo rovesciamento dei ruoli tra vittime e carnefici, tra vincitori e sconfitti, tra torto e ragione.


A differenza della capziosa opera revisionista però, negli scritti di Vonnegut (in Madre notte come in Mattatoio numero 5) non si esprimono giudizi , ma si tracciano impietose descrizioni delle laceranti incongruenze insite nell'animo umano. Non si proclamano sentenze, l'atteggiamento che emerge è quasi giustificatorio persino nei riguardi di persone che rivestono ruoli di norma considerati abietti: traditori, doppiogiochisti, bugiardi, assassini, fanatici.


Se il tema è la bestialità trasversale dei conflitti, l'ottusità della crudeltà, la banalità del male, Vonnegut sa bene di cosa parla, visto che da volontario della fanteria USA fu fatto prigioniero a Dresda giusto in tempo per assistere al bombardamento della città che produsse la più grande carneficina del novecento, con un numero totale di vittime che si è attestato ad oltre le centotrentamila. Conosce bene l'uomo con il suo cinismo, le sue contraddizioni, le sue aspirazioni,le sue bassezze, i suoi imprevedibili slanci di coraggio. Sa che sono le condizioni oggettive, il contesto che ci circonda a fare di noi ciò che siamo e che dunque mutando questi fattori il risultato finale, l'agire individuale, ne viene influenzato.

Chiaramente c'è molto di Vonnegut nei tormenti di Howard Campbell, ma anche in quelli degli altri protagonisti del romanzo: reduci, nazisti americani, prigionieri di guerra, spie sovietiche, persone che non sono ciò che dicono di essere ("noi siamo quel che facciamo finta di essere, sicchè dobbiamo stare molto attenti a quel che facciamo finta di essere"). Tante sarebbero le pagine da tenere a mente, imparare a memoria, usare come bussola di vita, forse è più semplice utilizzare un pensiero formulato da quanti sostengono che un libro come Madre notte, "dovrebbe essere diffuso nelle scuole al pari di Se questo è un uomo di Levi" .

Una lettura imprescindibile.

mercoledì 23 novembre 2011

Catalogami questo! / 22

La musica Cajun è caratteristica della Louisiana, nata dalle popolazioni di origine francese chiamate Acadians. La musica Cajun è spesso associata alla musica zydeco, che ha le stesse origini.

La lingua parlata dai cajun corrisponde ad un francese antico, quasi puro, ed in questa lingua i cajun svilupparono un loro stile musicale che da loro prese il nome. La musica cajun, simile in qualche aspetto alla musica creola, prevedeva principalmente l'uso della concertina e della fisarmonica.

Le sue tipiche melodie sono state utilizzate da Virgil Thomson nella colonna sonora del film del 1948 Louisiana Story (La storia della Louisiana, su DVD come: I racconti della Louisiana), per la quale Thomson vinse nel 1949 anche un premio Pulitzer per la musica.

Nalla musica cajun viene tavolta suonato, oltre al tradizionale washboard, anche il violino, alla maniera di un secolo fa, da solo o in coppia, anche come solo strumento per accompagnare il canto o la danza. Altro strumento tipico e la fisarmonica cajun, una fisarmonica semplificata con, ad esempio, dieci tasti alti, due bottoni bassi, quattro serie di voci al canto. Altri strumenti sono il triangolo, chiamato tit fer o petit fer, e la chitarra.

I primi artisti ad incidere dei brani di cajun furono i bianchi Joe Falcon e Dennis McGee per la Columbia Records nel 1928 e il nero Amédé (Amade) Ardoin nel 1929 per la Decca. Ambedue le registrazioni vennero fatte a New Orleans. Si tratta di una musica da ballo campagnola che si aggancia alla tradizione franco-canadese con qualche influenza irlandese, tedesca, caraibica, messicana e africana. Comunque, il cajun anteguerra non ha nulla a che fare con il blues.


wikipedia

lunedì 21 novembre 2011

The beauty and the beast music






Arch Enemy

Khaos Legions (Century Media) 2011




Probabilmente gli esperti del melodic death metal saprebbero compilare una lista di band più importanti degli Arch Enemy. Io invece, che del genere non so in pratica una mazza fionda, mi sono preso la libertà di affezionarmi a questo dischetto della band svedese formata da Micheal Amott dei Carcass, che ho scoperto essere attiva, tra alterne fortune, dal 1996.


I brani dell'album si susseguono seguendo un canovaccio che prevede pezzi brutalmente veloci con la doppia cassa a dettare la linea e improvvise stoppate con successivi rallentamenti della melodia (un esempio per tutti, Bloddstained cross, la traccia numero tre). Il cantato è, ca va san dir, in rigoroso growling, e fin qui nulla di strano. Solo ci sono rimasto di sasso quando, prendendo informazioni sulla band, ho scoperto che la voce da esorcismo che sventra i testi appartiene ad una fanciulla di nome Angela Gossow, che insomma a vederla non si direbbe.

I pezzi in generale sono un buon compromesso tra l'integrità che il genere richiede e comunque un buon livello di accessibilità, elementi che permettono ad un non adepto a questo sound di ascoltare l'opera senza crisi di rigetto al terzo brano consecutivo. E di giungere così con le orecchie provate, ma ancora integre, fino alla fine, passando per le ultime perle Cult of khaos e Secrets con un timing finale che si attesta attorno ai cinquanta minuti.


La band a mio avviso ha una forte componente commerciale. Un brano come No gods, no masters ad esempio con un arrangiamento differente potrebbe tranquillamente diventare un pezzo pop, magari dei Depeche Mode, non per niente a dimostarre che le radici della band sono tutt'altro che di nicchia, tra le bonus tracks per il mercato giapponese compare la convincente cover di The zoo degli Scorpions e all'interno di un'altra edizone speciale del disco ci sono tributi a Kiss (The oath) e Europe(Wings of tomorrow).


Khaos Legion è probabilmente un disco che non lascerà segno alcuno nella storia del metal, che verosimilmente annoierà gli integralisti del genere, e che pertanto è perfetto per essere trattato con accondiscendenza su queste virtuali pagine.










sabato 19 novembre 2011

Album o' the week / Lucio Dalla, DallAmeriCaruso (1986)



Questo live catturato durante un breve tour nei clubs americani (nello specifico l'intera serata è stata registrata a New York) riprende il secondo Lucio nazionale nel suo migliore stato di forma. La performance è memorabile anche grazie al contributo della band che accompagna Dalla: gli Stadio. L'album è forse più noto per la presenza di un unico inedito (il famigerato Caruso) che per la bontà delle riproposizioni tirate di pezzi come Balla balla ballerino, Tutta la vita, Futura, L'ultima luna e il classico del gruppo di Curreri Grande figlio di puttana.

Devastante ed incomprensibile la scelta della casa discografica che per la versione in cd del live esclude quattro brani e ne accorcia uno (Washington). Il tutto nonostante il timing finale del supporto digitale si attesti a sessantotto minuti (con ulteriore spazio utilizzabile dunque). E poi dicono che il mercato discografico è andato in crisi! Con un management così...

venerdì 18 novembre 2011

Il sabba di Milano

Comunicato ufficiale

I BLACK SABBATH SI RIUNISCONO PER UN NUOVO ALBUM IN STUDIO (prodotto da Rick Rubin) DOPO 33 ANNI E INTRAPRENDERANNO UN TOUR MONDIALE. SARANNO IN ITALIA IL 24 GIUGNO.




BLACK SABBATH
24.06.2012 MILANO arena fiera milano (rho) – Gods of Metal 2012
Special guests TBA - Biglietti in vendita a partire da martedì 22 novembre sul circuito Ticket One e rivendite collegate autorizzate.

Prezzi dei biglietti:
Regular Ticket: 65 Euro + diritti di prevendita
Pit Ticket (disponibilità limitata): 85 Euro + diritti di prevendita

Il Pit Ticket comprende:Biglietto d’ingresso, Braccialetto per accedere al Pit e assistere allo show in posizione privilegiata, Entrata dedicata salta coda, Accesso Area Vip






Speravo davvero di poter vedere i Black Sabbath dal vivo e sapevo di avere, per ragioni anagrafiche della band, non più di una chance residua. Certo, mi toccherà passare sopra a diversi elementi che dovrebbero, ragionevolmente, dissuadermi: la follia del prezzo del biglietto, la location abominevole, lo stato di brasatura di Ozzy, la prospettiva che ci sia troppo spazio nella setlist per il nuovo disco a danno dei classici. Ma temo che tutti questi ostacoli non basteranno a dissuadermi...

giovedì 17 novembre 2011

De cat is in de sac

Stavolta non ci sono state sviste arbitrali o furbate di campioni al declino, l'Irlanda ce l'ha fatta e torna finalmente alla fase finale dell'europeo di calcio dopo un quarto di secolo di assenza. La squadra non è composta da fenomeni, per dire le stelle sono Shay Given e Damien Duff (trombati da Mancini al City) e il trentunenne fantasista, con un breve passato anche all'Inter, Robbie Keane. Sapete già dove andrò a parare. Grande merito in questa impresa va ascritto al giovannino nazionale, che è diventato un'icona degli sportivi irlandesi e che nell'ultima conferenza stampa per tenere alta l'attenzione dei suoi a prescindere l'ampio vantaggio maturato in Estonia, ha riproposto uno dei suoi evergreen: non dire gatto...

mercoledì 16 novembre 2011

Catalogami questo! / 21

Mi occupo della defizione di un genere noto a tutti, il thrash-metal, quasi esclusivamente per fare ammenda. Da sempre ritenevo infatti che il termine si scrivesse senza la acca tra la prima e la seconda lettera, proprio come la traduzione in inglese di spazzatura (il che, in effetti non ha molto senso). Solo di recente, grazie ad Jumbolo che mi ha corretto, mi sono avveduto della clamorosa gaffe. Avessi saputo prima che il verbo to thrash (onestamente mai sentito usare) significa battere/percuotere, forse ci sarei arrivato anche da solo. Ad ogni modo...


Il thrash metal è un sottogenere dell'heavy metal, che combina le tecniche dell'heavy metal classico e dell'hardcore punk.

La sua definizione deriva dal verbo to thrash (inglese per "battere, percuotere"). Ha ottenuto un certo successo soprattutto negli anni ottanta e agli inizi dei novanta. Inoltre ha influenzato alcuni stili venuti dopo come death metal,black metal, punk metal ed altri più recenti, quali metalcore, groove metal, alternative metal e nu metal.

(...)

Il thrash metal nacque nei primi anni ottanta negli Stati Uniti, nella Bay Metropolitan Area della California. I primi fautori di questo genere furono Metallica, Slayer, Anthrax e Megadeth che insieme formarono i cosiddetti "Big Four" del thrash. Lo stile musicale si diffonderà poi a macchia d'olio in tutto il Nord America, per poi arrivare in Europa e nell'America Latina. (...)

Il thrash iniziò ad assumere i propri connotati con i Metallica e gli Slayer, i quali pubblicarono rispettivamente Kill 'Em All e Show No Mercy nel 1983, dischi che iniziarono a manifestare un certo distacco stilistico dal classico heavy metal britannico. Poco dopo, si aggiunsero gli Anthrax con Fistful of Metal (1984) e i Megadeth con Killing is my Business... And Business is Good! (1985).

I lavori di questi gruppi presentarono dei tratti comuni rappresentati da ritmiche taglienti e molto veloci, soprattutto per ciò che concerne i riff di chitarra e i tempi di batteria, e da testi abbastanza grezzi e spontanei che vanno dall'esaltazione quasi superomistica del metal (Metal Militia dei Metallica, Metal Thrashing Mad degli Anthrax) fino ad un certo gusto per l'horror e il satanismo (Black Magic degli Slayer, The Skull Beneath the Skin dei Megadeth). (...)

Grazie ai capofila del genere, il thrash metal venne portato verso il suo apice e si venne ad accentuare il processo di ulteriore evoluzione del genere. Con il passare degli anni, il thrash conobbe uno sviluppo notevole grazie anche alla nascita di altre formazioni degne di nota. Fra i gruppi più rappresentativi di questa corrente occorre ricordare Exodus, Testament, Death Angel. (...)





la scheda completa su wiki

martedì 15 novembre 2011

Mr Ticket

Ovvero come ammazzare il tempo in attesa di un treno che non arriva mai e avendo a disposizione solo una manciata di biglietti usati. L'epica battaglia tra un adulto e un bambino contro il perfido Mr Ticket nella stazione deserta di Dateo sarà narrata nei secoli a venire quale esempio di intrepido coraggio e sprezzo del periglio.

lunedì 14 novembre 2011

Bad to the bone





99 Posse

Cattivi Guagliuni (Novenove) 2011





Ascolto il ritorno dei novenove e tiro un bel sospiro di sollievo. Il comeback era stato infatti anticipato, oltre un anno fa, dal singolo Antifa, che mi aveva veramente fatto temere il peggio, tanto era bolso, fiacco e prevedibile. Cattivi guaglioni invece riallaccia nel migliore dei modi il discorso interrotto quasi dodici anni fa, e lo fa con immutata coerenza, ma (se possibile) con più rabbia, meno melodia e una maggiore attenzione agli aspetti autobiografici del suo autore principale, o' Zulù.

L'album parte forte e convince subito. University of Secondigliano è 99 Posse style al cubo. Rime assassine e un ritornello che spacca, il tutto su di un testo dispiegato sulle macerie delle prospettive di una vita dignitosa nelle periferie d'Italia. Canto pè dispietto (feat. Nuova Compagnia di Canto Popolare) è, come dicevo, un resoconto dell'orizzonte temporale trascorso dall'ultima release del 2000 ad oggi nella vita di Luca Persico. La title track è forse il brano più riuscito del disco, un flusso di ispirazione circolare, che, partito dai maestri (loro, i novenove) ha raggiunto altre posse (i Cò sang su tutti) e poi è tornato indietro moltiplicato per cento. Il pezzo è una sfuriata micidiale su chi, per usare una metafora di De Gregori, ruba nei supermercati (finendo subito in prigione) e chi invece ha rubato per costruirli (che al gabbio non ci finirà mai).

La paranza di San Precario è un punk-rock leggerino, mentre Italia Spa fa ancora una volta centro, e mi piace segnalare un estratto da un monologo di Troisi che introduce il pezzo. Vilipendio fa scempio della retorica dei festeggiamenti ai centocinquant'anni del nostro Paese, mentre Yes Weekend è l'irriverente e sarcastica analisi della politica del piddì. Giusto per non farsi mancare strali nemmeno a sinistra.

C'è spazio anche per un'ospitata prestigiosa, quella di Caparezza che rappa nel suo stile inconfondibile sopra a Tarantelle pè campà. Su Antifa non ho cambiato idea, è il pezzo più debole della tracklist, mentre con Resto umano, il tributo al pacifista italiano Vittorio Arrigoni, ci si avvia alla conclusione del disco che tiene botta fino all'ultima traccia, per quasi un'ora di musica.



Non c'è quasi nulla da ridire sul ri-discesa in campo di o' Zulù e soci. Precisi, affilati, velenosi, spietati, rigorosi. Se proprio vogliamo andare a sfrucugliarli, mi sento di dire che senza l'apporto di Meg si sono un pò allontanati dal ruolo di Massive Attack italiani che tanto album come Corto Circuito e La vida que vendrà gli avevano appiccicato addosso. Qui la sloganistica e il furore delle rime non trovano quel magnifico equilibrio figlio del connubio musicale con la singer napoletana. Peccati assolutamente veniali rispetto all'importanza di un ritorno sulle scene di cui sentivamo davvero bisogno.






sabato 12 novembre 2011

Album o' the week / Sweet 75, omonimo (1997)



Gli Sweet 75 sono l'unica esperienza discografica di Krist Novoselic dopo i Nirvana. Il bassista si accompagna alla poliedrica cantante Yva Las Vegas per dare vita ad un progetto che ha come stella polare il sound indie ed il gruppo di Cobain (Fetch, Lay me down e Nothing probabilmente gli episodi migliori) ma che divaga con gusto, intercettando imprevedibilmente la lounge (La vida, con Herp Alpert), il country (Ode to Dolly, con Peter Buck), il tex-mex (Canots de pilon). Dopo questa collaborazione, Novoselic ha progressivamente mollato l'attività di musicista e Yva ha proseguito nella sua carriera squisitamente underground. Da ripescare.

venerdì 11 novembre 2011

Il treno ha fischiato

Da qualche giorno avverto uno strano fischio all'orecchio sinistro. Tipo quando tuo malgrado sei sottoposto ad un rumore estremamente forte ed improvviso e le orecchie ti ronzano per qualche minuto, o come accade dopo i concerti. Solo che a me non è successa nessuna di queste cose (ne sono stato in piscina, montagna o aereo) e sto così da domenica. Il fischio non è intenso, ma continuo e chiaramente aumenta quando nell'ambiente circostante c'è silenzio. Ho fatto un salto in infermeria per capire se si potesse banalmente trattare di un tappo di cerume o di un'infezione (patologie di cui comunque non ho mai sofferto), ma sembra che l'orecchio sia a posto e dunque dovrò sottopormi ad una visita specialistica dall'otorino perchè sta cosa a lungo andare mi provoca una sensazione di rincoglionimento, come se vivessi sott'acqua.



Che qualcuno stia sparlando di me in misura così intensa e continuata? Che il mio corpo mi stia mandando dei segnali in codice? Che debba cambiare gusti musicali? Che stia sentendo anch'io il fischio del treno?

giovedì 10 novembre 2011

Dark journey







Lou Reed & Metallica

Lulu (Universal) 2011



La mia impressione è che da quando è stata resa nota la collaborazione tra Lou Reed e i Metallica, finalizzata ad un progetto discografico comune, in molti non vedessero l'ora di sputtanarli. Ho notato anche che, una volta uscito l'album, a stroncarlo più violentemente, quasi con cattiveria sono stati i fans dei Metallica. Seguiti comunque a breve distanza da quelli di Lou Reed. Mi sembra invece ci sia stata più accondiscendenza (al netto dei soliti articoli-marchette a favore di major) da parte degli appassionati neutrali, che in passato hanno magari apprezzato sia il gruppo metal che il poeta maledetto, senza però per questo diventare degli integralisti delle loro opere.



La prima cosa da dire per fare chiarezza è che questo è senza dubbio un album di Lou Reed. Poi ci sono i Metallica a fare da gruppo spalla. Se qualcuno quindi si aspettava la rinascita della band di Hammett ed Hatfield rimarrà molto più che deluso. D'altro canto temo che per quella ci vorrebbe solo un miracolo (inteso in senso letterale, tipo resurrezione), vista l'empasse dei quattro. Lou Reed invece si può dire che abbia realizzato un operazione perfettamente nelle sue corde. Nei numeri cioè di un uomo che ha sempre fatto come gli pareva, a partire dall'atroce scherzo di Metal Music Machine (1975) per finire a The Raven (2003). E che prima e nel mezzo,insieme ai Velvet Underground o da solo, ha semplicemente scritto la storia della musica rock.



Ma ripartiamo proprio da The Raven, lavoro nel quale il sessantanovenne artista aveva musicato alcune opere di Edgar Allan Poe, non destando particolari favori in critica e pubblico. Il progetto Lulu segue coordinate analoghe, esplorando un lavoro teatrale del drammaturgo tedesco Frank Wedekind, lavoro che unisce due drammi distinti, Lo spirito della terra e Il vaso di Pandora in un unica rappresentazione: Lulu, appunto. Di cosa parlano le rappresentazioni (messe in scena tra la fine dell'800 e l'inizio del 900)? Di roba estremamente moderna, o se vogliamo trasversale al tempo. Sesso usato per salire la scala sociale, depravazione, attrazioni morbose, omicidi, suicidi, violenza fisica e psicologica. Di tanto sangue e di un finale splatter nel quale chiude il cerchio nientedimeno che Jack lo squartatore. Lulu (esile, carnagione chiara, capelli neri a caschetto, femminilità prorompente) diventerà l'icona di un certo tipo di femminilità, ripresa con una certa continuità da cinema, moda e fumetti (ultima ma non ultima la Valentina di Crepax).



La premessa è stata lunga ma a mio avviso era necessaria perchè conteneva l'embrione della recensione prettamente musicale. Per addentrarsi nella seconda parte dell'analisi del disco, c'è da dire che come da consolidato marchio di fabbrica degli ultimi anni , Reed non canta, ma recita i versi generalmente cantilenandoli, solo occasionalmente sforzandosi di intonarli se proprio non ne può fare a meno. Dietro di lui suonano i Metallica, non necessariamente autocoverizzando il loro suono, ma mettendosi a totale e umile disposizione della canzone, della storia, del progetto, del frontman. Il disco, pur essendo composto da dieci sole tracce ha una durata che accarezza i novanta minuti e dei singoli pezzi ben sei superano i sette minuti fino all'apice di Junior Dad, la traccia conclusiva che ne dura quasi venti.



Astenersi perditempo quindi. Se non si cade nel fascino oscuro del reading del vizioso newyorkese bastano una manciata di minuti per mollare il colpo. Se però si infrange l'imene della poca accessibiltà del disco, qualcosa di morbosamente affascinate in esso si trova, includendo in questo anche l'apporto della band di Master of puppets. Di più, il materiale racchiuso nel primo cd (le tracce fino alla sei) fila bene con il suo saliscendi d'intensità, a partire dalla chitarra acustica che apre Brandenburg Gate anticipando il cantato di Lou e l'entrata del resto della band. C'è poi The view, il singolo che ha lanciato l'album scelto presumibilmente in quanto uno dei pochi brani in cui Hetfield partecipa alle parti vocali. Il pezzo che però coniuga meglio i due stili musicali è Mistress dread, o perlomeno è quello in cui i Metallica suonano più veloce, facendo a gara con la nenia di Reed, che invece è costante nella sua ritmica lenta. Iced honey è il brano che maggiormente contempla la forma canzone classica ed in questo ricorda palesemente le composizioni più accessibili di Lou. Anche gli undici minuti della struggente (almeno per quello che si evince dal testo) Cheat on me non sono male e passano senza pesare.



Il secondo cd è un pò più sbilanciato sull'aspetto teatrale del soggetto, e poi comunque tre canzoni da quaranta minuti complessivi (anche se la metà dei venti minuti di Junior dad è come un'interminabile fader fatto di feedback chitarristici e archi vari) di questa roba metterebbero a dura prova anche la pazienza di un monaco tibetano.







Complessivamente, la boa della sufficienza è comunque raggiunta, non so se perchè in me è scattata la sindrome da giornalista snob che incensa ciò che gli altri abiurano o se sia più semplicemente una reazione alle critiche all'opera che mi sono parse preventive, esagerate ed irriguardose rispetto ad un lavoro che di certo non sarà ricordato negli annali e che rischia seriamente di finire presto nei cestoni tutto a cinque euro degli Autogrill, ma che non merita nemmeno di essere disprezzato con questa brutale intensità. No, Lulu non è sicuramente un disco trascendentale e vive inevitabilmente di alti e bassi, ma qualche qualità ce l'ha. Ad esempio cresce col tempo ed ha un suo oscuro magnetismo che attira a se. Non tutti gli ascoltatori forse, ma non è anche questo il bello della musica?






martedì 8 novembre 2011

Che il vento tristo se lo porti via

Forse ci siamo. Berlusconi avrebbe annunciato che presenterà le proprie dimissioni dopo l'approvazione della legge di stabilità. Anche se il condizionale con quest'uomo è d'obbligo, stiamo per vedere la luce alla fine di un tunnel nel quale siamo precipitati negli ultimi dieci anni di vita del paese.

Questo non è un blog d'approfondimento politico, lascio ad altri accurate analisi sul momento, sulla fase storica, sul berlusconismo che resiste a berlusconi e ancora sulle infinite pippe mentali della sinistra, a Bersani, Vendola, DiPietro,Casini e dell'ultimo arrivato Renzi.

Per me oggi, stasera, è esclusivamente il momento di gioire, di togliersi un peso, nel vero senso della parola. Di non vergognarsi più di essere italiano quando nei meeting internazionali si appropinquava il faccione da carro di Viareggio del cavaliere. Di non sentire più le sue agghiaccianti barzellette o i suoi comizi da imbonitore, le sue fughe da ogni tipo di contraddittorio. Non c'è rispetto nemmeno postumo per uno così. Non c'è alcun onore delle armi quando gli sconfitti hanno corrotto, lacerato, diviso, governato attraverso favori incociati, reso lecito l'indicibile, fatto del parlamento il proprio strumento legislativo, incidendo a fondo nel tessuto del bene pubblico e della morale italiana, se Berlusconi rappresenta tutto ciò che in democrazia non dovrebbe mai accadere e che infatti non accade in nessuna altra parte del mondo. E questo chiaramente pone degli inquetanti interrogativi su di noi in quanto popolo.


Ma come dicevo di questo non voglio parlare, desidero solo liberare la mia felicità. Ci siamo ripresi il domani. E domani, in fondo è un altro giorno.

Punture indolori



Sembra Batman (è ricco sfondato, gli assassinano il padre, sfida il crimine coadiuvato da una spalla, ha una casa-rifugio tecnologica), ma in realtà è debosciato e maldestro e il merito dei successi sul campo sono tutti di Kato, suo aiutante giapponese esperto in tecnologia e arti marziali. Nessuno dei due ha comunque super-poteri e la prima operazione che conducono è decapitare la statua dedicata al padre, uniti dalla feroce antipatia nei suoi confronti. Il film resta in bilico per tutto il suo svolgimento tra i toni leggeri della commedia che sfiora la parodia e quelli seri dell'action movie, non trovando forse in questo la sua coerente collocazione. Il protagonista principale non a caso è un attore comico, Seth Rogen. Cameo anche per Cameron Diaz. Stupisce un pò scovare dietro la macchina da presa il talento visionario, anche se non sempre a fuoco, di Michel Gondry.



Non conoscevo il personaggio del Calabrone Verde. Ragione per cui stavo per scriverne come di un soggetto modeno che rovescia, nel distribuire i ruoli tra eroe principale e spalla, il classico canovaccio del mondo superoistico, ma poi scopro che The Green Hornet, storicamente, nasce, in clamoroso anticipo sulle mode dei character in calzamaglia e prima della creazione di Superman e Batman, addirittura nel 1938 (come trasmissione radiofonica) e ha avuto, già dai suoi arbori, film e serie televisive a lui dedicate (in una si segnala la presenza di Bruce Lee nei panni del suo aiutante).



Non fosse per il linguaggio abbastanza scurrile ed un'inaspettata scena splatter finale, sarebbe un film adattissimo ai bambini. Beh, per la verità a Stefano è piaciuto sopratutto per il linguaggio scurrile che è sfuggito al mio controllo e per la scena splatter finale.

lunedì 7 novembre 2011

Survivor






Anthrax

Worship Music (Nuclear Blast), 2011


Nonostante il significativo ruolo nella storia del metal (con Metallica, Slayer e Megadeth tra i big four del thrash, in seguito tra i creatori del cosidetto rap-metal) a livello popolare gli Anthrax non sono certo i Guns 'n' Roses. Malgrado ciò gli otto anni trascorsi dalla pubblicazione del loro ultimo album (We've come for you all), i frequenti cambi di formazione e i ripetuti rinvii della release di Worship music hanno in una certa misura avvicinato le traettorie dei due combo.



Provo a rassicurare i fan della band, Worship music è meno cervellotico, maggiormente coerente e più lineare di Chinese democracy, i metallari newyorkesi hanno prodotto un'opera potente e brutale, ma che non si fa mancare aperture melodiche e richiami alle varie pelli che il gruppo ha mutato nel tempo. Positivo, nella cifra stilistica complessiva, il ritorno di Joey Belladonna il singer che ha caratterizzato gli episodi migliori della produzione Anthrax e che è succeduto all'interregno di John Bush.

Dopo un breve intro l'attacco dell'album pesta giù davvero duro e preciso con un classico sound thrash-metal che caratterizza interamente il primo trittico di tracce (Earth on hell, The devil you know e Fight 'em til' you can't, scelta come singolo che ha anticipato la release ufficiale del cd). Successivamente il tiro resta veloce ma concede di più alla melodia, I'm alive e In the end non sono poi così lontani dal sound duro ma accessibile di band come i Foo Fighters. Lo stesso (in termini di potenzialità commerciali) si può affermare per The giant, che, dopo un inizio costruito su un impetuoso rap, si apre ad un efficace refrain. Con Crawl, la traccia numero undici ad affacciarsi neanche tanto timidamente è il post-grunge. Niente da rimproverare comunque, il pezzo mi pare funzioni. La chiusura è per la lunga, apocalittica, cavalcata elettrica di Revolution screams, che si interrompe per una manciata di minuti di silenzio e poi riprende per conludersi con un accenno di rappin'.


Non sono nè fan nè esperto degli Anthrax, però, alla luce delle difficoltà (che facevano temere il peggio) incontrate dalla band per incidere questo disco mi sembra che l'abbiano sfangata abbastanza bene. Giudizio finale: tre pinte. La casa di riposo può attendere.







sabato 5 novembre 2011

Album o' the week / Dark Angel, Time does not heal (1991)





Non so a voi, ma a me mancano i Dark Angel. Il tormentato combo losangelino ha detto addio alle scene nel 1991, con la pubblicazione del capolavoro, già a partire dal titolo, Time does not heal, apoteosi del loro straordinario thrash-metal, di derivazione Slayer, Testament, Megadeth e naturalmente 'Tallica che, il caso vuole, proprio quell'anno abdicarono al genere che contribuirono a imporre nel mondo con (il pur'ottimo) black album. Ma tornando al disco, siamo davanti al classico esempio di monolite compatto dal quale si fa fatica ad estrarre singole tracce. Volendoci provare la scelta cadrebbe sulla poderosa title track; su Pain's invention, madness, su Psychosexuality e sulla conclusiva A subtle induction.


Violentemente nostalgico.

venerdì 4 novembre 2011

Once upon a time in Greece

Avendo seguito un paio d'anni fa il fallimento della compagnia di bandiera ellenica, sono rimasto in contatto con qualche dipendente ora in mobilità. In particolare con uno, anziano, greco, da una vita in Italia, che ogni tanto passa a salutare.

L'altro giorno, vista la situazione di profonda crisi che sta attraversando il nostro paese, è stata l'occasione per una chiaccherata nella quale mi ha raccontato cosa sta succedendo in Grecia, dove lui torna occasionalmente.

Ebbene le sue storie mi hanno condotto lungo le strade più eleganti della capitale con negozi chiusi, attività in vendita o in affitto, attraverso un tour delle fabbriche dismesse, dei prelievi forzati sui conti correnti e sulle pensioni superiori ai mille euro.

Ma soprattutto mi racconta di come i tedeschi stiano facendo affari d'oro acquistando immobili e imprese a prezzi stracciati. Di come ci vorrà un orizzonte di tempo mostruoso per rialzarsi.


Non so se in qualche modo in lui ci sia un sentimento di rivalsa verso quanti, in Italia, con il premier che diceva che eravamo messi meglio della Germania, parlavano del suo paese con sufficienza ed ora sono davanti ad un analogo baratro, di certo mentre raccontava ho avvertito un'intenso legame con le sue storie e ho registrato in maniera molto netta la sensazione che non c'è niente come le difficoltà per avvicinare persone e popoli.

mercoledì 2 novembre 2011

Catalogami questo! / 20

Per Madchester s'intende una corrente musicale del rock e della dance sviluppatasi nell'area urbana di Manchester tra gli anni ottanta e gli anni novanta. Caratterizzata da una fusione di elementi dell'alternative rock, dell'acid house e del pop, la scena di Madchester si distingue da altre correnti ibride tra rock e dance, per le ritmiche ripetitive, una forte attitudine punk e le atmosfere psichedeliche. Mentre le strutture delle canzoni sono le classiche dello stilema della musica pop, gli arrangiamenti e l'attitudine sono moderni. Gli esponenti maggiori della corrente furono gli Stone Roses e gli Happy Mondays (pesantemente indiziati quali coniatori del termine, visto il loro EP Madchester Rave On del 1989) ma nonostante condividessero il titolo di maggiori esponenti di tale scena musicale, erano due band con due stili molto differenti: gli Stone Roses prendevano strutture del pop rock tradizionale, fondendole con il funk e il rock psichedelico, mentre gli Happy Mondays avevano sviluppato uno stile musicale che univa synth pop, dance, punk rock e hip hop, mantenendo un'impronta più vicina alla new wave.
In seguito la scena di Madchester venne inglobata nell'indie rock, grazie anche all'avvento commerciale dei The Charlatans e gli Inspiral Carpets. Nonostante ciò, la scena di Madchester tramontò con la fine degli anni novanta, quando le diverse band del genere si spostarono ad altre derive musicali.Tuttavia, il Madchester è stato molto rappresentativo per il britpop, ed ha influenzato band come gli Oasis, i Pulp, i Blur e i Suede.




wikipedia

A view to a laugh


Johnny English è fondamentalmente un film basato sulle gags. Vietato dunque guardare i trailers prima di andare al cinema, visto che buona parte di esse sono concentrate lì, assecondando una pratica suicida che non ho mai capito. Detto questo, il ruolo del maldestro agente segreto è cucito addosso alla mimica e alla fisicità di Rowan Atkinson, il che a volte è un pò un limite, ma quando funziona è la marcia in più di una commedia che altrimenti mostra la corda. Da ricordare le scene con la vecchina, l'inseguimento sui tetti, il gran finale in svizzera.


Anche se la risata più convinta me l'ha strappata Stefano, quando intervenendo su una battuta del film in cui English dice ad un suo collega più giovane: "ci lavoravo sopra quando tu ancora portavi i pantaloni corti", mi ha dato di gomito sussurrandomi: - ah! vuol dire d'estate...-.