Josh T. Pearson, Last of the country gentleman
Mute (2011)
Capita anche che in un nuovo artista ci si inciampi, letteralmente. Manco fosse un disegno divino atto ad obbligarti a prestargli la dovuta attenzione. Con Josh T. Pearson è accaduto proprio questo. Prima c'è stato il post sul blog di Paolo Vites, giornalista del Busca che apprezzo molto (la recensione dell'album da qualche giorno è bissata da quella del concerto milanese). Poi è stata la volta di un articolo della Meattelli su Rolling Stone (rivista che, altra casualità, non compravo da più di un anno). Ieri infine, mentre riportavo a casa i miei dal mare, Radio Popolare ha trasmesso una bella intervista al barbuto singer americano.
Praticamente ancora prima di ascoltare una singola nota della sua musica, ho saputo tutto della vita di Josh. L'idea che mi sono fatto è che Pearson è un tipo, diciamo così, particolare. Forse un fricchettone, di certo un tizio molto spirituale. Ha esordito in musica nel 2001 con una band chiamata Lift to experience , poi più nulla fino a questo album solista del 2011. Nel mezzo ha fatto un pò di tutto, dal lavorare in una comunità religiosa di recupero(dove si esibiva anche in chiesa) , allo spostarsi in lungo e in largo negli States e in Europa (Parigi, Berlino dove è stato inciso il lavoro), al vivere una storia d'amore che l'ha sconquassato. Sentire il suo modo di parlare è un esperienza unica: inquietante e magnetica allo stesso tempo.
Il disco, dunque. E' composto da sette tracce e da titoli che sembrano racconti di Joe Lansdale: tipo Sweetheart i ain't your Christ; Honeymoon is great! I wish you were here e la mia preferita, Woman when i've raised hell you'll know it. I pezzi sono tutti dominati dalla voce di Pearson e, in misura meno ingombrante, dalla sua chitarra. In un paio di episodi spuntano i ricami di un piano o del violino dell'amico Warren Ellis.
Praticamente ancora prima di ascoltare una singola nota della sua musica, ho saputo tutto della vita di Josh. L'idea che mi sono fatto è che Pearson è un tipo, diciamo così, particolare. Forse un fricchettone, di certo un tizio molto spirituale. Ha esordito in musica nel 2001 con una band chiamata Lift to experience , poi più nulla fino a questo album solista del 2011. Nel mezzo ha fatto un pò di tutto, dal lavorare in una comunità religiosa di recupero(dove si esibiva anche in chiesa) , allo spostarsi in lungo e in largo negli States e in Europa (Parigi, Berlino dove è stato inciso il lavoro), al vivere una storia d'amore che l'ha sconquassato. Sentire il suo modo di parlare è un esperienza unica: inquietante e magnetica allo stesso tempo.
Il disco, dunque. E' composto da sette tracce e da titoli che sembrano racconti di Joe Lansdale: tipo Sweetheart i ain't your Christ; Honeymoon is great! I wish you were here e la mia preferita, Woman when i've raised hell you'll know it. I pezzi sono tutti dominati dalla voce di Pearson e, in misura meno ingombrante, dalla sua chitarra. In un paio di episodi spuntano i ricami di un piano o del violino dell'amico Warren Ellis.
Le coordinate musicali: qualcuno l'ha inserito nel filone di questo nuovo folk movement (Fleet Foxes, Grizzly Bear, Low Anthem), ma a mio avviso la sua musica ha confini un pò più estremi e meno indie/mainstream (solo apparente bisticcio di termini), non so, ipotizzerei più un Townes Van Zandt e forse in qualcosa John Fahey, più che i CSN&Y, volano di tutta la moderna produzione new folk di cui sopra.
In effetti Last of the country gentleman non è un disco per tutti i giorni, bisogna essere della predisposizione e dell'umore giusto, allora ascoltarlo equivale ad entrare in chiesa con il cuore gonfio e vedere la luce, viceversa può risultare molto ostico e forse noioso più che evocativo. Io, che ve lo dico affà, propendo per la prima corrente di pensiero.
E non è nemmeno un disco da stellette (o pintine), Last of the country gentleman, la sua particolarità lo rende un'opera fuori scala. Ad ognuno il suo giudizio insomma. Ad ognuno il suo percorso che porta a Josh T. Pearson.
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