martedì 30 novembre 2021

I migliori della vita: John Coltrane, A love supreme (1965)


Fondamentalmente sono una persona curiosa, sempre alla ricerca di nuovi stimoli in ambito soprattutto musicale. E' per questa ragione che, come ho già scritto in passato, dopo un profondo lavoro di carotaggio di molti generi "rock", ho provato ad avvicinarmi al jazz. Prima leggendo un paio di autobiografie che sono dei veri e propri must (Peggio di un bastardo, Charles Mingus e l'autobio di Miles Davis) e poi passando all'ascolto. L'esperienza è stata molto soddisfacente ma limitata, sia nei dischi (di cui ho scritto qui e qui)  che nell'orizzonte temporale. Da qualche mese invece le mie playlist abituali (auto e smartphone) esplodono di jazz, classico perlopiù (Davis, Mingus, Monk, Parker, Gordon, Rollins, Peterson, Shorter, Adderley),  ma con qualche incursione nel moderno (segnalo a questo proposito il mostruoso trombettista Ambrose Akinmusire e il suo ultimo lavoro Origami Harvest).

Se mi trovo in questa condizione, il merito va ascritto al talento di John Coltrane e... ad una serie di incredibili coincidenze. Dopo aver consumato ed aver interiorizzato ogni nota di My favorite things, sono infatti passato all'altro capolavoro riconosciuto di Trane: A love supreme. E casualità vuole che, proprio mentre le note del disco mi si insinuavano inesorabilmente sottopelle, mi sia imbattuto, a far crescere ulteriormente il mio coinvolgimento, in un commento di Spike Lee che definisce il disco "il migliore di tutti i tempi, di ogni genere" e poi in un virgolettato di Claudio Fasoli, uno dei più apprezzati sassofonisti italiani, che dichiara "quando ero giovane ero ubriaco di Coltrane, non volevo ascoltare altro". 

Entrambe queste dichiarazioni rendono bene, nella loro enfasi, lo stato di dipendenza che crea nell'ascoltatore l'ascolto massivo di Trane e, in particolare, di questo immenso capolavoro, pubblicato nel febbraio del 1965 quando John era all'apice di uno stato di grazia (in quegli anni registrò My favorite things, Ballads, Giant steps, oltre al disco assieme a Duke Ellington). E' straziante pensare che poco più di due anni dopo il musicista ci avrebbe lasciato per un male incurabile. 

La ragione principale dietro allo straripante momento d'ispirazione di Coltrane è senza dubbio da ricercare in due stimoli: il primo l'uscita dalla dipendenza dalle droghe attraverso una disintossicazione totale, che ha anche portato John ad adottare una dieta vegetariana, e il secondo l'incontro con la fede cristiana e la spiritualità. Ed è proprio da qui che muove il concepimento di A love supreme, nato, si narra, durante una sessione di yoga, durante la quale il musicista "sentì" delle note risuonargli in testa e si convinse trattarsi di un messaggio dell'Onnipotente. Da qui la decisione di registrare un disco che fosse un ringraziamento al Signore per averlo salvato. 

L'album è in questo senso un concept, che segue il filo conduttore dei passi compiuti da Trane per rinascere a nuova vita. I quattro movimenti (per trentatrè minuti) che compongono l'opera hanno pertanto una "progressione" di titoli estremamente eloquenti: Acknowledgement (presa di coscienza); Resolution; Pursuance (perseguimento) e Psalm (salmo). Per l'occasione Coltrane (che in questa occasione utilizza sia il sassofono tenore che il soprano) si presentò in sala d'incisione dai fidati musicisti del suo quartetto (Jimmy Garrison al contrabbasso, Elvin Jones alla batteria e McCoy Tyner al pianoforte) senza spartiti o tracce scritte di ciò che si proponeva di realizzare, immaginando di dare grande spazio all'improvvisazione. Questo era un  metodo imparato da Miles Davis, ma che fino a quel momento il sassofonista non aveva mai adottato in maniera radicale.

Il primo movimento dell'opera, Acknowledgement, è probabilmente tra i più noti mai realizzati dall'artista e, al contempo, tra i più apprezzati fuori dal perimetro jazz. Il brano, come succede solo alle composizioni epocali, muove su un pattern apparentemente banale di quattro note. Nella realtà questo tappeto sonoro, che cattura magneticamente l'attenzione dell'ascoltatore, non è altro una cornice  dentro cui si dipanano improvvisazioni che conducono al magnifico finale con il mantra di "A love supreme", unica linea vocale dell'intera opera, un inserto cantato inaspettato e forse proprio per questo perfettamente congruo. 
Da lì per i successivi venticinque minuti di durata del disco il quartetto, attraversanti vari sottogeneri del jazz (modal/avant-gard/free/hard-bop, dopotutto siamo nel '65, pertanto in un'epoca di sperimentazione), realizza qualcosa di irripetibile, riuscendo a stupire e coinvolgere l'ascoltatore fino all'ultima nota. E forse anche oltre. 
Delle quattro parti del disco, Pursuance (la parte III) con i suoi dieci minuti abbondanti, è la più lunga,  ed è probabilmente anche quella in cui meglio si apprezzano gli altri musicisti, con solos importanti di McCoy al piano e di Garrison al contrabasso, proprio sulla conclusione del pezzo. Viceversa l'epilogo della parte IV, Psalm, è l'unico in cui il sax tenore di Trane è presente dal primo all'ultimo secondo del brano. E non potrebbe essere diversamente, trattandosi del pezzo più spirituale di un disco... spirituale.

La difficoltà di replicare queste composizioni nate dall'improvvisazione è testimoniata anche dal fatto che rarissimamente (addirittura si pensava una sola volta) A love supreme sia stato riproposto dal vivo nella sua interezza. Solo di recente è stata scovata e messa in commercio una registrazione realizzata il 2 ottobre 1965 a Seattle, con la stessa formazione che ha realizzato l'album. Un'occasione in più per riascoltare, in versione dilatata (per fare un esempio Acknowledgment dura oltre ventuno minuti, rispetto ai sette originari) questo capolavoro.

Insomma, non sono proprio io l'ascoltatore raffinato che si vuole dare un tono parlando (senza averne titolo) di jazz. Con ogni probabilità presto tornerò ad occuparmi di ignorantissimo metal o di country texano. Molto semplicemente c'è un momento per tutto, e quando arriva il tempo di John Coltrane lo si vuole vivere in maniera totalizzante, sentendosi migliori anche senza aver fatto nulla per meritarsi tanta bellezza.

mercoledì 17 novembre 2021

I'm movin'

Scatoloni di cartone a perdita d'occhio e facchinaggio fino allo stremo delle forze, che, nel mio caso, sono molto limitate. 
Eh sì, sono al terzo trasloco (l'ultimo spero, ma non si può dire con certezza) e se il precedente, vent'anni fa, mi aveva devastato, immaginatevi questo, affrontato alla mia non più veneranda età. 
Insomma, abbiamo cambiato casa e per assestarci, tra mobili che arriveranno non si sa bene quando, ricerche infruttuose dello scatolone giusto dove avevamo messo le mutande pulite, oltre beninteso agli impegni lavorativi, ad essere penalizzati saranno gli aggiornamenti del blog. Tanto, in ogni caso, vista la direzione editoriale assunta, orientata pressochè unicamente alle recensioni, ed essendo costretto a diradare i film visti (a parte l'assenza di tempo non ho ancora ristabilito connessione internet e Sky) e, musicalmente, essendo in una fase di totale ubriacatura a base di 'Trane e Miles, probabilmente sarei anche a corto di argomenti. 






lunedì 8 novembre 2021

Bokassa, Molotov rocktail

Dopo un esordio che ha goduto nientedimeno che dell'endorsement di Lars Ulrich (Divide and conquer, 2017) e un "attesissimo" secondo album passato piuttosto inosservato (Crismson riders, 2019) , i norvegesi Bokassa, rispettando la regola autoimposta dei due anni di tempo tra un disco e l'altro, pubblicano il nuovo lavoro: Molotov Rocktail.

A sto giro la band abbandona quasi completamente l'afflato più propriamente thrash/stoner/metal, per concentrarsi su un sound che spazia tra le diverse incarnazioni del punk (pop-hardcore-straight) e il cosiddetto scandinavian rock degli anni novanta (Turbonegro su tutti). 
Lo si capisce quasi subito, dopo un breve prologo strumentale (Freelude), quando parte la scanzonata So long, idiots che si candida ad essere la dedica dell'anno verso quanti non ci stanno propriamente simpatici. Altrettanto corrosiva (e provocatoria) la successiva Pitchfork'r'us, con cantato alla Lemmy ed improvviso coro fanciullesco. 
Con lo scorrere dei brani si fa apprezzare la buona propensione dei norvegesi alle armonie, con incursioni nel groove metal mainstream e chorus quasi arena rock (Low and Behold; Burn it all), fino alla zampata finale del lungo Immortal space pirate 3 -  Too old for this shit, un bel "doomone" che resta l'unica sortita nel metal tradizionale. 
Molto bella, infine, la copertina "da vinile" riecheggiante il mitologico  Heavy metal (il film a cartoni animati del 1981).

Insomma, un disco che, come sempre più spesso ci capita, non sposta nulla nella storia della musica, ma che ha almeno dalla sua spontaneità e divertimento.

giovedì 4 novembre 2021

Freaks out


Nella Roma occupata del 1943, poco dopo la sottoscrizione dell'armistizio firmato da Badoglio l'8 settembre, quattro esseri umani speciali: Fulvio, un uomo completamente ricoperto di pelo e dotato di una forza sovrumana, Mario, con il potere di attirare i metalli, Cencio, capace di comandare gli insetti e Matilde,  una ragazzina che emana elettricità, assieme al loro impresario Israel, animano lo scalcagnato circo Mezzapiotta. A seguito di un bombardamento che distrugge la loro tenda, i cinque decidono di affidare tutti i loro risparmi a Israel, incaricato di comprare documenti falsi e biglietti per l'America. L'impresario però non torna dalla sua missione mentre i quattro freaks, a loro insaputa, diventeranno l'obiettivo del folle nazista Franz, che, grazie a trip lisergici, riesce a vedere il futuro e si convince che solo assoldandoli riuscirà a sovvertire il destino avverso cui il reich e Hitler stanno andando incontro.

Mi capita ormai raramente di vedere un film ed avvertire una voglia, una vera e propria urgenza di commentarlo. E' successo con Freaks out di Mainetti, al quale, lo dico subito anche se deontologicamente non si dovrebbe, troverete assegnato, nell'elenco di titoli che posto bimestralmente, il voto massimo: 5/5. Qui cercherò di spiegare le ragioni che mi portano a questa consapevole sopravvalutazione, anche in relazione ai giudizi, perlopiù tiepidi, della critica togata.

Innanzitutto Freaks out è un gran bel film. Girato da dio, con effetti speciali quasi sempre dosati e coerenti, una fotografia straordinaria, prove d'attore coerenti alla cifra stilistica, soggetto, sceneggiatura, dialoghi di livello. Il villain (importantissimo per la riuscita di un action), interpretato dall'attore tedesco Frank Rogowski, come nel caso di Marinelli per Lo chiamavano Jeeg Robot, è sopra le righe il giusto, quindi centrato. Insomma, il valore artistico di questo film, a parere di chi scrive, è sicuramente da quattro stelle. Si arriva a cinque per un discorso di riconversione industriale del nostro cinema. Da questo punto di vista Freaks out potrebbe essere la produzione italiana più importante degli ultimi trent'anni. A memoria non ricordo infatti, un film ad alto budget che tenta con questa forza di lanciare il cinema italiano fuori dai suoi stantii recinti di film inutili nei quali gli insopportabili protagonisti si parlano addosso senza soluzione di continuità. E prima erano i problemi dei trentenni, poi quelli dei quarantenni, adesso i cinquantenni (forse perchè attori/registi sono sempre quelli nel corso degli anni). Anche basta, eh! 
Potrei sbagliarmi, ma credo sia dai tempi (1997) di Nirvana di Salvatores (che ci riproverà, con budget più bassi, con i due Il ragazzo invisibile) che non si assisteva ad un tentativo così coraggioso e, secondo me, riuscito, di fare, anche dalle nostre parti, cinema spettacolare e mainstream, senza rinunciare all'italianità e all'intelligenza.

Il discorso non può dunque che andare sul regista/attore/sceneggiatore/produttore Gabriele Mainetti, che ha (fin qui), resistito alle sirene che gli chiedevano un seguito di "Jeeg Robot" per concentrarsi invece su quest'opera visionaria, colorata, emozionate ed avventurosa, nata da un soggetto dell'altro enfant terrible del cinema italiano, Nicola Guaglianone. Il lavoro di Gabriele, sia dietro la macchina da presa (guardare per credere la sequenza iniziale del bombardamento aereo) che come direzione attori, è ormai ai massimi livelli. Le prove di un Santamaria (Fulvio, l'uomo lupo) completamente ricoperto di pelo, che sposta tutta la sua performance su sguardo, voce e linguaggio non verbale è impeccabile, così come quella di Castellitto jr (Cencio, il ragazzo insetto), con look tra un cyberpunk e Kurt Cobain, e di Giorgio Tirabassi, nelle vesti dell'impresario ebreo, sono significative. Anche se è della giovane e semi-esordiente Aurora Giovinazzo, nei panni della ragazza elettrica, la prova indiscutibilmente più emozionante.

In un film che prende in prestito e omaggia decine di pellicole, letteratura e fumetti: dall'ovvio Freaks di Tod Browning agli X-Men a Robin Hood (con i partigiani ribelli nelle foreste laziali invece che in quella di Sherwood, guidati da un Max Mazzotta che a sua volta sembra il compianto Flavio Bucci), da Pinocchio (lo sfarzoso circo nazista ingannevole come il "paese dei balocchi") a Le Iene (la sequenza dell'orecchio) e, nonostante una messa in scena se vogliamo molto americana, i creativi dietro al progetto riescono comunque a caratterizzare l'opera con aspetti che non sarebbero mai possibili in un film Marvel o Dc. 
Così i papà che ho visto al cinema con bambini a seguito hanno assistito, credo con imbarazzo, ad una bella chiavata a pecorina tra l'uomo e la donna lupo e ad un protagonista, affetto da un ritardo mentale, l'uomo magnete, che si masturba compulsivamente e senza pudore alcuno. Da non trascurare, infine, la rievocazione reale, seppur in una pellicola di fantasia, di un periodo storico di violenza, deportazioni e rastrellamenti, ulteriore valore aggiunto del film, soprattutto in un periodo in cui chi non vuole vaccinarsi osa paragonare la sua situazione alla persecuzione nazista agli ebrei

Insomma, un film davvero importante, forse, come dicevo, il più importante da molti anni a questa parte per l'industria cinematografica italiana. Personalmente, da appassionato, spiace leggere tanti giudizi ingenerosi espressi con il mignolo all'insù. Se vogliamo trovare difetti lo possiamo tranquillamente fare, da parte mia, ad esempio, avrei evitato la scena della fuga con il cannone, avrei definito meglio i poteri dell'uomo lupo (che a lungo, incomprensibilmente subisce) e, soprattutto, avrei messo qualche fascista, assieme ai nazisti, perchè dal film sembrano essere solo i tedeschi i responsabili delle atrocità commesse, mentre sappiamo che non è stato così. 
Preferisco tuttavia guardare il quadro generale creato da quest'opera, nella speranza (ahimè, più che nella convinzione) che Freaks out possa fare da booster ad una nuova, attesissima e diversa affermazione del cinema italiano.

lunedì 1 novembre 2021

MFT settembre/ottobre

ASCOLTI

PrinceWelcome 2 America
CarcassTorn arteries
Wayne ShorterSpeak no evil
Cannonball AdderleySomething else!
AAVVThe Metallica blacklist
PoppyFlux
AAVVI'll be your mirror: a tribute to The Velvet Undergound and Nico
Bad Religion30 Years Live
BokassaMolotov rocktail
Iron MaidenSenjutsu
Salmo, Flop
Wayne Hancock, Man of the road
John Mellencamp, The good samaritan - Tour 2000
Gang, Ritorno al fuoco
Brandee Younger, Somewhere different
Sami Yaffa, The innermost journey to your outermost mind
Sam Fender, Seventeen going under
Sweet Crisis, Tricks on my mind
Eclipse, Wired
The Royal Hounds, A whole lot of  nothin
Tom Morello, The atlas underground fire
Mastodon, Hushed and grim
Joe Bonamassa, Time clocks
Death SS, Ten
John Coltrane, A love supreme - Live in Seattle
Zac Brown Band, The comeback
Charles Mingus, Pithecanthropus erectus


VISIONI

Omicidio al Cairo (3,5/5)
The lodge (3,5/5)
I magnifici sette (1960) (3,25/5)
Il primo Natale (2,5/5)
Il collezionista di carte (3,75/5)
10 minutes gone (2/5)
Lucky day (2,75/5)
L'uomo che ingannò la morte (1959) (3,5/5)
Imprevisti digitali (3,75/5)
Il buco (2020) (3,25/5)
Affliction (3,75/5)
Valerian e la città dei mille pianeti (3,25/5)
Bullitt (3,75/5)
The host (2013) (3,25/5)
Good kill (3,5/5)
In guerra (4,25/5)
No one lives (3/5)
La rapina del secolo (2020)
The protégé (2,75/5)
Centurion (3/5)
Free Guy (2,5/5)
La grande scommessa (2015) (3,75/5)
Crows zero (3,25/5)
L'assassino (1961) (3,75/5)
L'orribile segreto del dottor Hichcock (3/5)
L'insulto (3,75/5)
Little Joe (3,75/5)
Come ti rovino le vacanze (2/5)
Lansky (2,5/5)
A casa tutti bene (2/4)
Il mostro della cripta (3/5)
Gunpowder milkshake (3/5)
Venom - La furia di Carnage (2,5/5) 
Notorious (5/5)
A cena con il lupo (2/5)
Run (3,75/5)
Il vento che accarezza l'erba (4,25/5)



Visioni seriali

The white lotus (miniserie) (3,25/5)
Coyote (miniserie) (3/5)
La casa di carta,  stagione uno (2,75/5)


LETTURE

Valerio Evangelisti, Il sole dell'avvenire