Strabilianti Thunder. La band londinese battezza il trentaduesimo anno di attività con un album che attesta uno stato di forma impressionante. La carriera discografica dei nostri si può sostanzialmente dividere in due sezioni: la prima, dagli esordi (con Backstreet symphony, del 1989), quando proponeva un ottimo melodic hard rock tutto sommato in linea con il mainstream hard & heavy imperante, accompagnato però da una non comune autenticità nelle esibizioni dal vivo (probabilmente l'ho già raccontato: li ho visti aprire per gli Extreme nel 1992 e mi entusiasmarono in maniera nettamente superiore rispetto agli allora lanciatissimi americani), fase questa che si interruppe nel 2008 con la band in quella che sembrava essere una definitiva traiettoria calante.
Invece, dopo una iato di circa sette anni, nella quale i due leader, Bowes alla voce e Morley all'ascia, hanno continuato in coppia a registrare dischi e fare concerti, il grande ritorno con Wonder days e, in soli sei anni, una serie complessiva di quattro album in studio (tutti recensiti sul blog sotto il tag "Thunder") e svariati dal vivo, nonchè, elemento più importante, un'inarrestabile crescita qualitativa che probabilmente trova il suo apice proprio con questo All the right noises.
Oramai l'autostima e la consapevolezza acquisita dal gruppo gli permette una tale libertà compositiva da, pur muovendo dall'hard rock di stampo britannico, non porsi steccati stilistici dentro al proprio agire artistico.
E' così che le sontuose cornici dei cori femminili di matrice soul, le tastiere, le atmosfere squisitamente acustiche, abbinate all'ugola di Danny Bowes che, sembra una frase fatta, ma davvero migliora col tempo, ci consegnano un disco di musica "vecchia" di una bellezza abbacinante.
Cosa non è, per scendere nella declinazione dei brani, Last one out turn off the lights, opener del disco? Una goduriosa restaurazione dei riff del Led Zeppelin che tramortisce in abbinata ad una sezione cori che avrebbe fatto godere Wilson Pickett. Un vero e proprio insperato portento musicale che, stilisticamente, in qualche modo fa scopa con la conclusiva She's a millionairess.
In mezzo altre nove canzoni (per una tracklist totale di undici pezzi, per quarantotto minuti) che spaziano armoniosamente dall'evocativa Destruction (contenente la linea di testo del titolo: They're making all the right noises / But they don't really know), da lasciar sedimentare e crescere di ascolto in ascolto, alla classica Thunder-ballad I'll be the one, al rock and roll party You're gonna be my girl giù giù fino alla "motivazionale" Don't forget to live before you die.
Come di consueto, dentro un disco che non vuole certo essere politico, i Thunder perseverano nel non trascurare i temi sociali, che qui regalano cittadinanza e parole a chi si è trovato (improvvisamente?) ai margini della società e non capisce nemmeno chi incolpare, attraverso la magnifica The smoking gun.
Di Bowes ho detto, cosa aggiungere della chitarra di Morley? Precisa, scientifica, emozionante e mai "sborona", vera e propria architrave del sound della band.
Capisco bene che oggi la musica vada da un'altra parte, ma chi dice di amare il rock classico e non si fionda su questo lavoro dovrebbe far pace con sè stesso.
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