lunedì 16 marzo 2015

Thunder, Wonder days


Ero certo di ricordare correttamente, ma sono andato per scrupolo a controllare i miei appunti dell'epoca. La prima volta che vidi i Thunder fu il 2 dicembre del 1992 al Palasesto di S.S.Giovanni. Facevano gli opener agli Extreme. Come mia consuetudine mi ero documentato in anticipo sulle band di supporto agli headliner in modo da godermi appieno entrambe le esibizioni e ricordo che mi ritrovai ad ascoltare il loro Laughing on judgement day (che comprendeva una Low life in high places che riascoltata oggi ancora mi provoca brividi lungo la schiena) molto di più del nuovo album degli Extreme, il pretenzioso e pasticciato Three sides to every stories. Sul palco andò alla stessa maniera, con i Thunder che in quaranticinque minuti di show entusiasmarono i presenti lasciando al combo guidato da Gary Cherone e Nuno Bettencurt il difficile compito di mantenere l'erezione dei presenti.
Nonostante l'indiscutibile qualità, la band non ha mai avuto un grande seguito e io l'ho persa di vista nella seconda metà dei novanta dopo l'ottimo Live, doppio cd che testimonia la potenza di fuoco scatenata nei loro concerti.
Successivamente a quegli anni, la formazione capitanata dal frontman Danny Bowes (voce) e Luke Morley (chitarra) ha continuato a pubblicare album (cinque tra il 1999 e il 2008) concedendosi però più di una pausa, tra split, progetti paralleli e reunion.

Quante volte riferendoci ad un gruppo musicale abbiamo espresso il concetto: "non inventano niente di nuovo, ma...". Ebbene, anche in questo Wonder days (primo album dopo sette anni) i Thunder proseguono nel loro percorso musicale consolidato, muovendosi nel solco dell'hard rock inglese sporcato di blues che a partire dai settanta ha visto band come UFO, Free, Bad Company fino ai Led Zeppelin scrivere la storia del genere, ma lo fanno illuminati dalla migliore ispirazione, attraverso composizioni fresche, compatte, potenti che esaltano il cantato di Bowes e la sapienza alla sei corde del sodale Morley. 
Non c'è un riempitivo o una traccia buttata lì, negli undici titoli che compongono l'album, in compenso troviamo pezzi come The thing I want e Resurrection day che nascono già con il timbro di classiconi pronti per essere accolti in concerto dal boato della folla, una title track che cresce inesorabilmente con gli ascolti, una Black water che ad oggi è la mia preferita, i lenti al posto giusto (The rain, Broken) e patterns che raccordano questo lavoro del 2015 alle cose della ditta Page-Plant (The prophet, Chasing shadows, Serpentine ed I love the week-end, torrido rock and roll che ti aspetti inizi con la strofa "It's been a long time since I rock and rolled...").
Danny Bowes ha una timbrica matura, meravigliosamente british e la Gibson di Morley suona così come te li aspetti: semplicemente perfetta.
Wonder days è un album magicamente retrò che ti lascia un enorme rammarico rispetto alla scelta dei Thunder di circoscrivere la propria attività live a poche date e qualche partecipazione a festival che ovviamente non toccheranno il nostro belpaese.

Cosa devo dirvi? Dischi così hanno sempre il potere di scaldarmi il cuore.

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