Dopo un lungo periodo nel quale mi sono tenuto lontano dalle serie televisive (nelle bozze del blog conservo un post - saggiamente mai pubblicato - nel quale comunicavo la decisione radicale di non seguirne più, a vantaggio dei film), e complice il classico mese di prova di Netflix, attivato all'unico scopo di vedere Springsteen on Broadway, vista l'ampissima scelta della piattaforma ho colto qualche consiglio in giro (nello specifico quello del blog amico Come un killer sotto il sole) e ho ricominciato a dedicare del tempo a questa forma di intrattenimento.
Ho scelto dunque Seven Seconds, senza sapere che fosse opera della stessa sceneggiatrice di The killing (Veena Sud). Ed effettivamente mi sono ritrovato nelle dinamiche narrative della sua serie più famosa, anche se in quel caso l'uccisione di una ragazza era avvolta nel mistero e qui invece il responsabile della morte di un ragazzino nero è mostrato chiaramente nei primi minuti del pilot, ma ci ho visto anche echi di un'altra gran bella serie, della quale non ho mai scritto: The night of, con un indimenticabile John Turtrurro.
La storia parte da un tragico incidente stradale, nel quale il poliziotto Peter Jablonski, mentre sta percorrendo in preda al panico una strada innevata che porta all'ospedale dove è ricoverata la moglie, investe qualcosa che scopre poi essere un ragazzino nero in bicicletta. Peter, nuovo arrivo nella narcotici, impaurito, invece di chiamare i soccorsi, contatta la sua squadra di Jersey City, il cui capitano Mike DiAngelo lo persuade a non fare nulla e lasciare il corpo nel fosso dove è stato sbalzato dall'urto, convinto che il ragazzo sia morto e che si tratti dell'ennesimo membro di gang criminale.
Il ragazzo viene trovato molte ore dopo agonizzante, ma vivo, e trasportato in ospedale. Da questo momento cominciano a svilupparsi diverse storylines ad intreccio, che coinvolgono l'onestissima famiglia della vittima, la squadra anti narcotici che ha coperto Jabloski e, soprattutto, il team dei "buoni", composto da due improbabili eroi: K.J. Harper, vice procuratrice distrettuale e Joe "Fish" Rinaldi, investigatore della omicidi.
Seven Seconds depista in continuazione lo spettatore seminando indizi e piste che, nella prassi del genere, dovrebbero condurre in una direzione e che invece vengono abbandonate o che portano da tutt'altra parte. La serie è, a mio avviso, girata molto bene, con una fotografia bellissima, grigia, fredda, sporca, che rimanda a luoghi dove ogni speranza è persa e trasmette sensazione di declino, di ineluttabilità, di tradimento dell'american dream. Non a caso la statua della libertà che si scorge dal New Jersey è sempre di spalle, come ad ignorare ogni richiesta di aiuto.
Il cast è superlativo, l'angoscia che vive il poliziotto Jablonski (Beau Knapp) ti si appiccica addosso nonostante il crimine di cui si è macchiato, l'empatia verso la viceprocuratrice Harper (Clare-Hope Ashitey), giovane, ma psicologicamente a pezzi ed alcolizzata cronica, è fortissima, così come l'affetto per il suo partner, quel "Fish" Rinaldi (Michael Mosley) che non tiene per sè nemmeno il più corrosivo dei pensieri.
Nonostante non sia stata rinnovata per una seconda stagione, decisione che a mio avviso accresce il valore di una storia che è sacrosanto concludere come è stato fatto, Seven Seconds è una delle serie che più mi ha emozionato e tenuto incollato allo schermo negli ultimi anni, con una sceneggiatura solida e un plot in crescendo, con personaggi e situazioni realistiche, e attraverso i drammi esistenziali di tutti i suoi protagonisti. In aggiunta a ciò ho apprezzato il valore sociale della storia, espresso attraverso le denunce implicite alla società americana (in tema di sanità, corruzione, povertà, derive di intere fasce della popolazione).
L'amarezza e la rabbia derivanti dalla conclusione della vicenda è il miglior propellente a garanzia della qualità della serie, il fosso e il rialzo del terreno, luogo del supplizio del giovane nero, sono un tragico altare alle storture della società USA.
Davvero Consigliato.
Doveroso post scriptum: Jonathan Demme (Il silenzio degli innocenti e Philadelphia, solo per citare due titoli della sua lunga filmografia) figura tra i registi che si alternano dietro la macchina da presa (episodio 1X02), ma proprio durante la lavorazione viene a mancare a causa di una lunga malattia.
A lui è dedicata la serie.