E' un pezzo che i Nine Inch Nails hanno smesso di essere determinanti per la scena musicale che conta. Ma Trent Reznor, che non è mai stato l'artista più prolifico del mondo, basti pensare che nel periodo di massima esposizione della sua creatura, dal 1989 alla fine dei novanta, ha pubblicato solo tre album distanziandoli esattamente cinque anni uno dall'altro, non è certo il tipo che si strugge per la perdita di posizioni cercando disperatamente di rimediare ricalcando il vecchio, confortevole sound. Tutt'altro. Reznor è uno sperimentatore a ciclo continuo, al punto che il suo storico sound, legato all'industrial metal, è diventato ormai solo una suggestione.
Paradossalmente, questo periodo di scarsa esposizione mediatica ha anche rappresentato per i NIN uno dei momenti discografici più prolifici. Infatti, dopo Hesition marks del 2013, la band ha rilasciato tre EP (Remix 2014; Not the actual events del 2016 e Add violence del 2017) e, storia recente, un nuovo full lenght (in realtà il disco non è molto più lungo degli EP che l'hanno preceduto ma nella discografia ufficiale è annoverato tra gli album): questo Bad witch.
Il nono lavoro in trent'anni di musica dei NIN è un raccoglitore delle più disparate ispirazioni e influenze di Reznor. Dagli echi industrial metal delle prime due tracce Shit mirror e Ahead of ourselves, all'elettronica con improvvisazioni avant-garde jazz di Play the goddamend part, all'ambient radicale di I'm not from this world, fino ai picchi qualitativi del disco, rappresentati da un allucinato tributo ai Depeche Mode (God break down the door) e un rispettoso rimando al David Bowie più elettronico (Over and out).
Insomma, con Bad witch Trent Reznor (classe 1965) dà libero sfogo a tutte le sue mille contaminazioni, riuscendo comunque sempre a mantenere un'omogeneità di fondo e un forte focus, per un risultato finale che attualizza in maniera convincente la storia dei Nine Inch Nails.
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