Quella per i Nine Inch Nails è una passione che non è mai stata feroce, ma che aveva raggiunto un discreto livello di intensità con The downward spiral (1994), si era stabilizzata con The Fragile (1999) per poi mitigarsi fino a diventare progressivamente marginale. Non che nell'ultimo orizzonte temporale Trent Raznor, braccio e mente dietro il progetto NIN, sia stato un fenomeno di prolificità, eh. Per dire, dall'ultima release ad oggi ha fatto passare cinque anni, trascorsi tra vari progetti collaterali (soundtracks per film, musica per videogiochi, etc).
Ho iniziato ad ascoltare Hesitation Marks inseguendo una vacanza dai miei canonici perimetri musicali, che di norma prevedono l'esatto contrario dell'offerta NIN: registrazioni in presa diretta, sudore, calli sui polpastrelli e proliferazione di strumenti a corda, e mai scelta si è rivelata più azzeccata.
Parliamo infatti di un lavoro che trova nell'elettronica, più che nell'industrial rock (madonnina, che termine desueto!) la sua consona dimensione, con rimandi al synth-pop più integralista, al drum and bass e ad artisti più vicini ai primi Depeche Mode, ai New Order, agli Underworld, addirittura al Tricky di Pre Millennium Tension, piuttosto che ai Ministry, i Fear Factory o i Godflash, ai quali la band era associata vent'anni fa.
Curioso che con queste coordinate musicali invece di trovare nei crediti dell'album i nomi dei nuovi genietti dell'elettronica (mi aspettavo chessò, un James Blake) trovino posto dei collaudatissimi musicisti "analogici" come l'esperto turnista Pino Palladino al basso e, a sorpresa, Lindsey Buckingham dei Fleetwood Mac alla chitarra, oltre naturalmente alla prevedibile schiera di artisti che stanno dietro ai diversi sintetizzatori.
Le tracce hanno, almeno per me, una forte componente ipnotica: Copy a; Came back haunted e Find my way sono pezzi quadrati e potenti che ti fanno pentire di non avere in macchina un impianto decente che sostenga a dovere i toni bassi, mentre, a metà tracklist, deputata a spezzare la claustrofobia delle atmosfere dell'album, è piazzata Everything, la canzone maggiormente legata ad architetture musicali tradizionali (con una chitarrina che fa tanto Cure periodo Wish) ma, paradossalmente (visti i miei gusti), anche il pezzo più scontato e fuori posto della raccolta. A seguire ancora un terzetto di grandi pezzi: Running, I would for you e In two (queste ultime due i migliori raccordi al sound NIN che fu).
Alla lunga (il timing supera di slancio l'ora di musica) probabilmente emerge nell'ascoltatore un pò di stanchezza, ma ciò non smuove di una virgola l'opinione più che positiva rispetto al lavoro.
E' scontato ribadire che non ci sono più i Nine Inch Nails di una volta, ma se Hesitation Marks è il prezzo da pagare per evitare di scivolare nell'affollatissima deriva autoreferenziale della musica rock, beh, si tratta di un compromesso ad alto tasso di dignità.
7,5/10
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