Per molti la coerenza è la virtù degli stupidi. Sarà, ma io alla mia ci tengo, per cui non farò finta di non ricordare che qualche tempo fa concludevo la recensione di Homeland smadonnando contro le regole del business televisivo che "imponevano" una prosecuzione a quel diamante perfetto che era stata la prima stagione del serial di spionaggio ispirato dalla produzione israeliana Hatufim.
In effetti per un pò ho resistito alla tentazione di vedere come andava a finire la storia tra Carrie (Claire Danes) e Brody (Damian Lewis), lasciati: lei sul letto di un ospedale psichiatrico dopo una cura a base di elettro-shock e lui in piena corsa per il Congresso USA. Poi però la curiosità ha rotto gli argini e ho ceduto. E a quel punto non ho posto più limiti alla mia vigliaccheria, sparandomi senza soluzione di continuità seconda e terza stagione per una maratona-overdose di ventiquattro puntate consecutive.
La mia opinione finale è che non esiste al mondo (o se esiste io non lo conosco) un serial televisivo che, mantenendo personaggi e plot principale, abbia la capacità di trasformare così radicalmente le proprie caratteristiche strutturali tra una stagione e la successiva come ha dimostrato di saper fare Homeland.
Basta infatti un episodio della seconda per spiazzare lo spettatore con un cambio di rotta imprevedibile e adrenalinico. Gli showrunners buttano a mare l'incoffessabile segreto di Brody che ci aveva tenuto incollati al video per l'intera annata precedente e che sembrava un meccanismo narrativo irrinunciabile, per dare il via invece ad un susseguirsi di eventi avvincenti, mozzafiato e cataclismatici che prendono il posto delle atmosfere angoscianti, tese e claustrofobiche (incorniciate da una coerente colonna sonora a base di jazz glaciale) della prima stagione, fino a condurci ad un cliffhanger finale che ribalta dalla sedia soprattutto quanti (non io, per la cronaca) avevano criticato l'amarissimo epilogo della season 1.
Nemmeno il tempo di abituarsi che con la terza si cambia nuovamente pattern. Brody viene usato magistralmente ma col contagocce (in compenso Carrie maramaldeggia e si prende più spazio l'ottimo Saul/Patinkin) e la storia riparte in maniera lenta, apparentemente scollegata e con delle storylines parallele sfiancanti.
Ma alla fine tutto torna, il destino di Brody si compie nell'unico modo possibile, dopo che l'ex marine ha compiuto una missione disperata in terra nemica. L'aggancio della sua impresa spionistica di finzione con le reali vicende di politica estera USA/Iran è soltanto l'ultimo colpo di genio di un team di autori da venerare.
Dato l'enorme successo della serie è già prevista una quarta stagione. A questo punto mi arrendo all'evidenza: sarà dura stargli alla larga.
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