Quando ho iniziato a seguire Dexter il mondo dei serial televisivi non era ancora giunto al ruolo predominante che riveste oggi nella cultura popolare. Al netto di qualche eccezione i grandi attori di cinema se ne tenevano alla larga; le produzioni televisive erano ancora parenti povere di quelle del grande schermo e, in generale, non godevano dell'attenzione quasi maniacale rovesciata su di esse nei giorni nostri.
Questo per dire che in otto anni possono succedere un sacco di cose e Dexter, una serie nata su basi noir ma che parlava di serial killer anche come metafora della personalità nascosta delle persone, spesso sconosciuta perfino alla cerchia più stretta di conoscenze, ha progressivamente abbandonato allusioni e allegorie per concentrarsi esclusivamente sul suo profilo "crime". Per carità, niente di male in questa scelta: la serie ha avuto buoni riscontri e si è rivelata un ottimo intrattenimento per tutto questo tempo, ma non è mai riuscita ad entrare nel novero di quelle per le quali trattenevo il fiato in attesa dell'annata successiva.
Era noto che la saga si sarebbe conclusa proprio con la stagione otto. Così, visto che la precedente era finita con un buon cliffhanger, un minimo di curiosità su come gli autori potessero gestirlo era assolutamente giustificata.
Ebbene, nel pieno rispetto della tradizione di fiction americana, la fine si raccorda con l'inizio della storia.
Ebbene, nel pieno rispetto della tradizione di fiction americana, la fine si raccorda con l'inizio della storia.
Dal passato di Dexter salta perciò fuori la dott.ssa Vogel (Charlotte Rampling), psicologa che si rivela essere la mente dietro al famoso codice, usato da Dex su indicazione del padre per incanalare verso obbiettivi "meritevoli" le sue pulsioni omicide. La cosa è forzata, ma, nell'ambito di una fiction, molto più plausibile di troppe resurrezioni usate, ahimè, in altri ambiti da showrunners in vuoto cosmico di idee.
A parte questo espediente narrativo, per buona parte della stagione (almeno fino all'episodio 8/12) non si respira un clima da ultimo capitolo, poi, tra un omaggio non si sa quanto voluto a Dario Argento (l'uscita di scena della Vogel), l'ennesima ridefinizione del rapporto tra i fratelli Morgan e il ritorno di Hannah, assistiamo ad un'accelerazione che ci conduce in effetti all'agognato epilogo.
Onestamente le uniche critiche che muovo agli sceneggiatori sono relative al poco coraggio dimostrato nel gestire il destino del protagonista: è molto suggestiva l'inquadratura che conclude episodio, stagione e serie, ma, prima ancora che deludente, la situazione che essa riassume appare davvero poco verosimile.
Per il resto lo show ha palesato gli stessi punti di forza (sempre meno via via che trascorrevano anni e stagioni) e di debolezza (uno per tutti: la ripetitività degli schemi cardine della narrazione) degli ultimi tempi, dimostrando, se ce ne fosse ulteriormente bisogno, che era giunto il momento di chiuderla qui.
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