Se Kiewsloski aveva la sua trilogia Tre colori, Edgar wright non poteva essergli da meno e con La fine del mondo (The world's end) chiude la sua "trilogia del cornetto". Le pellicole di questa saga sono infatti totalmente indipendenti una dall'altra, ma condividono, ad un certo punto della storia, l'apparizione di un cornetto (sì, proprio il gelato dell'Algida) contraddistinto dall'incartamento di colore diverso (rosso per L'alba dei morti dementi, blu per Hot fuzz e giallo marrone per questo film).
Curiosità a parte, La fine del mondo è un altro centro pieno da parte di Wright. Analogamente a quanto accade per Hot fuzz, la trama iniziale è una sorta di MacGuffin rispetto alla vera direzione del plot.
Gary King (Simon Pegg), un quarantenne senza arte ne parte, decide di radunare la sua vecchia compagnia per cercare di compiere un'impresa solo sfiorata venticinque anni prima, al termine delle high school: completare il "miglio dorato", un percorso di dodici pub nella cittadina d'origine di Newton Haven (The first post; The old familiar; The famous cock; The cross hands; The good companion; The trusty servant; The two-headed dog; The mermaid; The beehive; The king's head; The hole in the wall e, appunto, The world's end) dentro al quale bere almeno una pinta di birra a pub.
Convinti i riluttanti amici ad unirsi a lui in questa impresa etilica e giunti a Newton Haven, i cinque si troveranno ad affrontare una situazione completamente imprevedibile.
E' impossibile che Wright faccia un film banale o prevedibile. Anche questo The world's end, che comincia come una variazione alcolica del filone delle rimpatriate, portate sullo schermo dai tempi del Grande freddo in avanti, ha un ritmo scatenato, sia nella sua parte più comica, che in quella successiva, che non svelo per preservarvi il gusto della sorpresa nella visione. Come in Hot fuzz, anche qui le citazioni sono innumerevoli, ed è un divertimento aggiunto scovarle, il cast degli attori affiatatissimo, a partire dalla coppia Simon Pegg (che è anche co-autore e co-sceneggiatore del film) Nick Frost, che a livello di intesa viaggia ormai col pilota automatico, per passare a Martin Freeman, magari meno incisivo di altre sue prove, ma ben in parte.
Insomma anche La fine del mondo, che ho già visto due volte in pochi giorni (uno da solo e uno con la famiglia) senza che abbia perso un grammo del suo valore, non tradisce quelle che ormai sono le aspettative per i lavori di Wright: divertimento, dialoghi irresistibili, situazioni folli e perchè no, quel pò di introspezione ben calibrata.
Alla prossima, che sarà la recensione di Shaun of the dead, già comprato in blu-ray.
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