Tra le ormai classiche uscite cinematografiche ferragostane, il titolo che attendevo con maggiore curiosità era questo The end? L'inferno fuori.
Lo attendevo con impazienza perchè, da appassionato del cinema di genere italiano del passato, saluto ogni titolo che rievoca quel periodo, uscendo dall'appiattimento delle produzioni nostrane, come se fosse dio risceso in terra.
Quindi, per una volta mi ha fatto piacere tutto l'hype che, soprattutto in rete, ha accompagnato la release nelle sale del film e soprattutto sono stato contento, nel mio piccolo, di contribuire, pagando un biglietto, agli sforzi di autori e produttori della pellicola.
La sinossi è presto fatta: Claudio Verona è un manager dispotico, egoista e arrogante di una grande multinazionale che ha sede a Roma. Una mattina resta bloccato nell'ascensore che lo porta al suo ufficio, dove ha in programma un importantissimo meeting di lavoro. Mentre aspetta che i tecnici risolvano il problema, attraverso alcune telefonate alla moglie e una serie di notizie lette sullo smartphone, si rende conto che qualcosa di grave sta succedendo in città. L'ascensore è sempre bloccato, i tecnici, coi i quali era in contatto telefonico, non gli rispondono più e perciò Claudio tenta di fare da solo, aprendo le porte dell'ascensore manualmente. L'operazione gli riesce solo parzialmente, ma lo spazio ricavato non è sufficiente per uscire dalla cabina. Attraverso quel pertugio ha però la visuale di un lungo corridoio di uffici, dove assisterà alla ragione della crisi in corso: per ragioni ignote le persone sono diventate zombie assetati di carne umana. Quella fessura dalla quale non può uscire, tenendolo in trappola, al tempo stesso impedisce agli infetti di entrare e divorarlo.
The end? L'inferno fuori, anche decontestualizzato dal panorama italiano di cui sopra, ma soprattutto contestualizzato allo stallo del nostro cinema, è un ottimo film. Va fatto un enorme plauso al coraggio dimostrato dai produttori (i Manetti Bros attraverso la nuova casa di produzione Mompracem oltre che a Rai Cinema) per aver creduto in questo progetto del regista Daniele Misischia, che ne ha anche curato la sceneggiatura assieme a Cristiano Ciccotti.
Il film, a mio avviso, recupera tutti gli elementi e i sottotesti dei migliori B movie horror, non solo italiani. L'azione si svolge per la maggior parte del tempo dentro i pochi metri quadrati di un ascensore con un solo protagonista, il convincente Alessandro Roja che è obbligato ad un gran lavoro recitativo a livello di linguaggio non verbale e di espressioni del viso e che interagisce solo occasionalmente con altri attori, tra i quali il poliziotto Stefano (Claudio Camilli), mentre di Carolina Crescentini, moglie del protagonista, sentiamo solo la voce che proviene dallo smartphone di Verona.
Il film poi scongiura alla grande il rischio di ripetitività della dinamica della storia, attraverso espedienti registici efficaci, come l'inquadratura dall'interno della tromba dell'ascensore, di esterni della città e di squarci di quanto accade nel corridoio. Molto suggestivo e, sì, romeriano (lasciatemelo dire, non l'avevo ancora fatto...) il finale, sebbene mi sarei aspettato una conclusione più cattiva (ma si sarebbe rischiato il plagio con l'epilogo de La notte dei morti viventi).
Film bello e importante, da vedere e supportare concretamente per dare un segnale di interesse verso un cinema italiano fuori dagli schemi.
Ho la sensazione che The end? L'inferno fuori sarà molto rivalutato col tempo, magari anche da parte di quanti oggi lo recensiscono con sufficienza.
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