Dietro l'incendiario ryhthm and blues di This is the sonics ti aspetteresti di trovare un gruppo di giovani e nerboruti neri con il testosterone da fabbro ferraio, e non, come succede in realtà, tre ultrasettantenni bianchi che avevano debuttato qualcosa come cinquant'anni fa (con Here are the Sonics, 1965), lasciando, nello spazio di tre album (oltre al debutto, Boom del 1966 e Introducing, del 1967), un imprinting indelebile su molta musica rock degli anni a venire, attraverso l'influenza trasversale universalmente riconosciuta da gente come Kurt Cobain, Bruce Springsteen, White Stripes, Mudhoney e molti altri.
Con queste premesse, The Sonics non potevano permettersi di sputtanarsi nel nome di una reunion come tante se ne vedono di questi tempi: dovevano, in virtù dell'autorevolezza derivata dai meriti acquisiti sul campo, continuare a dettare la linea a tutto il movimento.
Missione ampiamente compiuta.
Sfido chiunque ascolti per la prima volta le linee vocali di Gerry Roslie (così come il suo lavoro all'organo); i riff slabbrati provenienti dalla chitarra di Larry Parypa e il trascinante lavoro al sax di Rob Lind ad associare il monumentale sound che ti assale in tracce quali I don't need no doctor, Be a woman, The hard way, I got your number, o alla cover di You can't judge a book by the cover (a proposito, al confronto, la pur buona versione proposta dagli Strypes ne esce annichilita) a qualcosa di stantio.
Un disco micidiale, dal tiro potentissimo e dal sound strabordante che mette insieme con invidiabile competenza errebì, garage, jump blues e rock and roll.
Incredibile a dirsi, una delle sorprese più entusiasmanti del 2015.
2 commenti:
Un disco pazzesco, uno dei mmigliori dell'anno appena trascorso.
Garantito
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