Vedere i Volbeat dal vivo ha rappresentato per me, Filo ed Ale la chiusura di un cerchio, il coronamento di un inseguimento alla band iniziato in sordina e proseguito sulle ali di un hype crescente, mano a mano che ci addentravamo nella produzione presente e passata del combo. Non c'è da meravigliarsi dunque, se, alle 23.25 circa dell' 11 ottobre, terminate le due introduzioni deputate a precedere l'ingresso sul palco del gruppo (Born to raise hell dei Motorhead e Let's shake some dust, strumentale rycooderiano che apre le danze dell'ultimo Outlaw gentlemen and Shady ladies), la nostra eccitazione fosse al suo climax massimo.
Flash forward dentro il flashback (perdonate la deformazione da serial addicted): come confesserò ad Alessandro lungo la strada del ritorno, per me partecipare ad un concerto significa principalmente cantare. Sfogare cioè le tensioni che mi si accumulano addosso attraverso dosi massicce di singalong, accompagnate, finchè il fisico regge, ad un po' di pogo.
Ecco, i Volbeat sono in questo senso una dream band.
Lasciate stare le evidenti patologie mentali del sottoscritto, che si è preparato al concerto attraverso la memorizzazione compulsiva dei testi manco dovesse presentare un esame universitario: quella del gruppo danese è una musica che apre la manetta dei cori e dei ritornelli al punto che basta davvero poco per sentirsi coinvolto e partecipare al rito pagano che i quattro offrono ogni sera, da una decina di anni a questa parte, sui palchi di mezzo mondo.
Nonostante la scandalosa vicinanza da casa, è la prima volta che assisto ad un concerto al Live Club di Trezzo e non posso che spendermi in lodi per il posto: la location è davvero eccellente , in grado com'è di soddisfare sia chi anela l'anarchia del pit, sia quanti si vogliano invece godere l'act in santa pace, allocandosi su posizioni alternative alla ressa sotto il palco grazie agli spazi soppalcati e persino a qualche posto a sedere.
Il programma della serata prevede la presenza del cosiddetto gruppo spalla, e il ruolo, per quanto possa sembrare offensivo visto che la band calca le scene da tre decenni, spetta agli americani Iced Earth. Personalmente sono sempre felice di avere la possibilità di vedere due esibizioni al prezzo di una, e, per le ragioni che illustravo sopra, da sempre cerco di assimilare preventivamente anche i pezzi degli opener in modo da godere appieno della loro esibizione. Beh, con gli Iced Earth l'operazione empatia proprio non m'è riuscita. La playlist che avevo preparato con circa un mese d'anticipo ha visto infatti la fessura del lettore ciddì giusto un paio di volte. Troppo ammorbante, fuori tempo massimo e a tratti (involontariamente) comico l'heavy metal proposto dai baldi (ex) giovani di Tampa, Florida, ai quali, va comunque riconosciuto l'onore delle armi per l'ottimo atteggiamento tenuto e per l'umiltà con la quale continuavano a scaldare il pubblico inneggiando ai Volbeat. Tra l'altro, tra i convenuti, molti dimostravano la propria devozione alla band, sfoggiando loro t-shirts.
Tra la fine del set degli Iced Earth e l'inizio di quello degli headliner, con Filippo decidiamo che è il momento di avanzare, mentre Ale rimane nelle retrovie. Con consumata abilità giungiamo a poche file dal palco e finalmente, dopo un'attesa che sembra interminabile, farcita da qualche chiacchera un po' da matusa sulla fauna locale (tra l'altro ci stupiamo della presenza di molte ragazze, non solo tamarre di rigore, ma anche "normali"), luci e musica diffusa si spengono, e in noi scatta subito l'occhio della tigre. La band non è ancora sul palco, ma fa alzare ulteriormente la temperatura con le due intro di cui ho scritto nella premessa del post. E poi, beh. Poi si scatena l'apocalisse.