lunedì 28 ottobre 2013

New wave of american country music: Kellie Pickler, 100 proof (2012)


Kellie Pickler racchiude in se tutti gli elementi che normalmente mi provocano allergia, tenendomi a mille miglia di distanza da qualunque artista, ma in particolar modo da quelli country. Prima di tutto deve il suo lancio nel music biz alla partecipazione ad uno dei tanti talent show televisivi (il noto American Idol), poi fa pop country, ed infine è troppo figa per essere anche autenticamente brava (questa è una mia patetica convinzione, compatitemi). 
Ma (e come diceva quel tale in Game of thrones, la parte della frase che conta è solo quella che viene dopo il "ma") le regole sono fatte per essere infrante, ed io, una tantum, provo ad uscire dalla compagnia di quei loschi debosciati suonatori di banjo alla Un tranquillo week-end di paura, che rappresentano per me il vero spirito outlaw del country americano, e mi faccio un giro nella Nashville bene, per vedere di nascosto l'effetto che fa.

E beh, l'effetto di 100 Proof, terzo album della Pickler è molto positivo. Pop country creato per rassicurare, piacere a tutti e scalare le classifiche, ma che, grazie ad un pizzico di personalità in più riesce ad emergere dalla massa, sia nei suoi passaggi movimentati che nelle immancabili ballate spezzacuori. 
Gli undici episodi (per trentacinque minuti scarsi) che compongono il disco sono infatti democristianamente suddivisi tra honky tonk che se ci fossero ancora i juke box sarebbero di certo i più suonati nei bar per truckers dell'intero southwest (Where's Tammy Winette; Unlock that honky tonk; Little house on the highway), tracce nate col bollino preventivo delle hits (Tough), ballate da fidanzatini da high school (Stop cheatin' on me; Long as I never see you again), l'immancabile, delicata, dedica alla mamma (Mother's day) e al padre scomparso prematuramente (The letter (to daddy) ). Un violino qui, una slide lì, un banjo equalizzato così basso che bisogna usare i cani da caccia per scovarlo: la produzione è pulitissima, tutta finalizzata ad enfatizzare la (bella) voce della cantante del North Carolina, che, pur facendosi coadiuvare da altri autori e musicisti, riesce a mettere lo zampino in sei delle undici composizioni. Purtroppo per lei non nella title track, che è un altro highligh dell'opera.

A completare il quadro dei luoghi comuni degli artisti pop-country USA (rispetto ai quali sono totalmente d'accordo con Robb Flynn dei Machine Head), la Pickler è una convinta sostenitrice delle forze armate e se cercate in rete non faticherete a trovare sue dichiarazioni a favore del possesso di armi da fuoco. Se fate invece una ricerca per immagini, vi troverete curiosamente di fronte due immagini distinte dell'artista: con look da femme fatale e coi capelli rasati a zero e abiti anonimi. Chissà se il nuovo lavoro, The woman I am, in uscita a giorni svelerà qualcosa di più sull'identità musicale ed caratteriale di questo personaggio. 

Per quello che mi riguarda, a sto giro ci posso anche stare.





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