In piedi sul bordo di un precipizio, determinato a fare un passo in avanti.
Steve non lo sapeva, ma questa era la sua condizione tra il novanta e il novantuno. Tra l'uscita di The hard line e il tour successivo documentato in questo tempestivo Shut up and die like an aviator. Successivamente a quella turnè sarebbero arrivati gli eccessi tossici, le risse con la pula, il carcere. Una spirale autodistruttiva dalla quale sarebbe uscito solo un lustro dopo, grazie ad un pugno di amici che lo aiutarono a rimettersi in piedi e a registrare l'intenso acustico Train a comin'.
Nonostante le dipendenze stessero per prendere il sopravvento sulle ispirazione dell'artista, questo live che chiude la prima parte della carriera di Earle risulta estremamente centrato, riuscendo in ottanta minuti a racchiudere le varie influenze di Steve, con link che rimandano direttamente al blues elettrico (West Nashville boogie; Snake oil), al country-rock (Guitar Town, Someday; Devil's right hand); al blue collar (Ain't never satisfied; The other kind; Good ol' boys); alle influenze irlandesi (Copperhead road) al folk impegnato (una struggente Billy Austin) per chiudere con il classico degli Stones Dead Flowers.
Decisamente dei migliori live di americana di sempre.
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