lunedì 7 febbraio 2011

I fought the law (and the law won) 1/2


Il film



Gli angeli del male comincia con una scena molto poco italiana (cit) per dinamicità, uso della macchina da presa ed efficacia. Renato Vallanzasca è rinchiuso nel carcere di Ariano Irpino, è rientrato dopo la doccia nella sua cella (siamo a metà anni ottanta ma sembra una segreta di un castello medievale) e, fatto oggetto di un piccolo-grande sopruso, reagisce colpendo la guardia carceraria ritenuta responsabile. Conscio delle conseguenze della sua azione, aspetta quasi in trance che esse si manifestino. E infatti da lì a poco una mezza dozzina di secondini entrano nella minuscola prigione per massacrarlo di botte. E' difficile immaginare una condizione in cui un essere umano sia più indifeso: nudo, rinchiuso in pochi metri quadrati, offre consapevolmente il suo corpo alle legnate di un'intera squadra di guardie. Perchè lo fa? Perchè non accetta le regole della prigione, fatte anche di umiliazioni e sopraffazioni, per la sua incolumità, il suo quieto vivere? Innescando questa domanda nel pubblico, Michele Placido gli offre immediatamente la chiave di lettura del personaggio.


Partendo da questo prologo, guidati da una voce fuori campo, parte un flashback sulla carriera del bel Renè, dall'infanzia a Milano con le prime, quasi romantiche, imprese (che comunque lo conducono al riformatorio), alle batterie di fuoco, la bella vita, le donne, i night-club e, inevitabilmente la reclusione, particolarmente dura perchè il milanese si assume l'intera responsabilità dei colpi effettuati da tutta la banda. A causa del suo carattere ribelle, che lo porta ad aggredire indifferentemente secondini e poliziotti, viene ripetutamente trasferito da un carcere d'Italia all'altro e sistematicamente sottoposto a violenti pestaggi. Si trova a Bari, legato su una branda con il corpo impietosamente tumefatto, quando Consuelo (la donna dalla quale aspetta un figlio) riesce a fargli visita.

E' con la fuga dall'ospedale, dove era riuscito a farsi trasferire dopo un atto di autolesionismo, e con la successiva latitanza, che inizia la fase leggendaria del bandito Vallanzasca. Con la costituzione della batteria che terrorizzerà Milano attraverso rapine, sparatorie e rapimenti. In questa fase si alimenta lo scontro con la mafia di stanza nel capoluogo lombardo, all'epoca gestita da Francis Turatello. Nel 1977 è di nuovo arrestato dopo essere fuggito da una sparatoria dove aveva lasciato a terra un complice e due poliziotti e dove aveva guadagnato una pallottola in un gluteo. In prigione nasce l'imprevedibile (visti i precedenti...) amicizia con Turatello. E' durante la detenzione nel carcere di Novara che si svolge la fase più agghiacciante della "carriera" del Renato: quella delle sentenze di morte per i pentiti, con l'amico d'infanzia Enzo in cima alla lista. La narrazione torna quindi al tempo reale, quello del pestaggio nella cella di Ariano Irpino e da lì prosegue, fino all'epilogo con la fuga dal traghetto che da Genova doveva portarlo all'Asinara.



Tutte le perplessità che avevo sulla scelta di Kim Rossi Stuart per interpretare il gangster della comasina sono svanite dopo pochi minuti di film. Il lavoro che l'attore romano ha fatto sui dettagli è strabiliante (e pensare che temevo l'effetto Celentano che parla romanesco in Er più) e per niente folkloristico. Molto bravi anche Paz Vega (Antonella), la Solarino (Consuelo) e Francesco Scianna (Turatello) anche se, ca va san dir, la palma del migliore in senso assoluto va a Filippo Timi per la sua interpretazione di Enzo, l'amico fraterno del Renato, che lo avvicina per metodo ad un certo Gian Maria Volontè.

Michele Placido, come già accennato in premessa, dirige con piglio di livello internazionale la storia, che infatti ha ricevuto molti plausi fuori dai confini italiani, dimostrando di essere un regista moderno e originale, capace di rendere sapientemente le scene d'azione (l'inseguimento alle auto di Turatello, la rapina al blindato, la rivolta in carcere) ma di toccare anche le corde più sensibili ed emotive degli spettatori (i colloqui in carcere con Consuelo, quelli al parlatoio e da latitante con Antonella, le riprese dall'alto nell'ora d'aria in isolamento, il finale con i genitori e il tempo che si ferma nella piazzola di sosta dell'autostrada).
Congrua, perchè non invasiva (io detesto i Negramaro), anche la colonna sonora.


Non ho accennato di proposito alle polemiche scatenate dal film già dal momento del suo annuncio. Alle contraddizioni, alla ricostruzione della storia,all'opportunità stessa di girare una pellicola così. Volevo affermare il principio che il film Vallanzasca - Gli angeli del male è un ottimo prodotto che il cinema italiano dovrebbe fieramente esportare all'estero. Su tutto il resto mi dilungherò (ahivoi) nella seconda parte della recensione.

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