lunedì 4 agosto 2025

Recensioni capate: Il lungo addio (1973)


Tra i tanti attori che si sono cimentati con Philip Marlowe, la più nota creatura di Raymond Chandler, facce giuste per il ruolo da loser dal cuore d'oro, un pò canaglia ma molto navigato, come quelle di Bogart, Mitchum, Garner e Caan (senza contare che sul detective noir hanno costruito decine di apocrifi), la più improbabile è sicuramente quella di Elliott Gould, icona liberal abituato a ruoli da americano qualunque. 
Eppure... Eppure sta a vedere se il suo Marlowe non sia tra i migliori. Merito delle sue doti interpretative, senza dubbio, ma vogliamo parlare della regia di Robert Altman, che sembra davvero divertirsi nel mostrare una L.A. dei primi settanta intontita da droghe e alcol, con il capitalismo che sta riguadagnando rapidamente terreno (tutta la parte in cui il gangster Augustine spiega a Marlowe il potere della grana) sul decennio precedente e sulla stagione del "flower power"
Ma soprattutto Altman ci regala delle scene indimenticabili, a partire dall'incipit del film con il duetto tra Gould e il gatto, passando per un gioco continuo di trasparenze e riflessi (nella sala interrogatori e quando Marlowe è nella casa dei Wade sull'oceano), un'inaspettata scena di violenza sadica, per tacere della restituzione di sporcizia e decadenza dei locali di polizia, in linea con  il comportamento da intoccabili degli uomini in blu (Ah! L'LAPD...). Che dire poi del campionario di facce, tutte perfette, dall'inquietante psichiatra al passivo aggressivo mr. Wade, ad un - non accreditato - Arnold Schwarnegger nella sequenza più folle del film. La colonna sonora rimanda ai club fumosi di cui cantavano il primo Billy Joel e, soprattutto, Tom Waits. Gould/Marlowe fuma ininterrottamente per tutto il film, unica concessione al profilo da duro del ruolo, e nonostante ciò sembra il più sano tra quelli che attraversano lo schermo. La pistola non compare mai, nemmeno nella cinta, fino all'ultima sequenza. Geniale. 

Prime video

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