Mi sono perdutamente innamorato di Steve Earle nella seconda fase della sua lunga vita artistica, quella, per intenderci, che segue gli affanni dovuti dalla tossicodipendenza e i problemi con la giustizia (quando, per usare le sue parole, lo hanno arrestato perchè "aveva colpito il manganello dei polizotti con la faccia"), il decennio da Train a coming (1995) a The revolution starts now (2004). Un periodo in cui, secondo me, il nostro ha saldato in maniera originale country, folk, blugrass, rock, blues e persino grunge, in maniera credibile e personale.
L'attuale momento, che a mio avviso, dopo un buon album di transizione (Washington square serenade) inizia con Townes nel 2009, ci consegna un Earle perlopiù bucolico, impegnato a tramandare le tradizioni della old music americana (principalmente folk e country/blugrass) anche attraverso album monografici di tributo, senza rinunciare qua e la al suo afflato polemico contro l'establishment e il capitalismo USA.
Massimo rispetto dunque.
Tuttavia difficilmente questo Steve Earle avrebbe fatto così prepotentemente breccia nei miei gusti. I dischi sono tutti formalmente impeccabili, ma a volte si fatica a distinguerne uno dall'altro, nonostante l'immutata capacita di songwriting dell'autore di John Walker's blues. Anche in questo caso (il disco è dedicato alla memoria di Jerry Jeff Walker) non è che ci si possa lamentare di pezzi rispettosi delle tradizione rurali come Gettin' by; Gipsy songman o I makes money (money don't make me), o di classiche ballate acustiche come My little bird o My old man, ma insomma se le antenne si rizzano quando si cambia un pò canone con Hill country rain o con l'evocativo blues solo armonica e voce Old road, un motivo ci sarà pure.
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