lunedì 7 agosto 2023

Fëdor Dostoevskij, Il giocatore (1866)


Aleksej Ivànovic, di professione precettore (colui che si occupava dell'educazione e dell'istruzione all'interno delle famiglie nobili), si trova in Germania, in una località, Roulettenburg (il cui nome dice tutto: è infatti un luogo molto apprezzato per il suo casinò), aggregato alla famiglia di un vecchio generale caduto in disgrazia che ha perduto la moglie ed ora si porta dietro, assieme ai figli, una giovane, bellissima e subdola francese. Aleksej si impone, riuscendoci, di stare lontano dal suo vizio del gioco, è innamorato della figlia maggiore del generale, Polina, per la quale farebbe (e fa) qualunque cosa ella chieda, anche derogare dal suo impegno di astenersi dai tavoli da giuoco. La convivenza forzata (dalla necessità) di queste persone, i loro secondi fini, le difficoltà economiche nascoste dietro la patina dell'alto lignaggio, deflagreranno rumorosamente all'inaspettato arrivo dell'anziana madre del generale, la cui morte tutti anelavano, chi per raccoglierne l'eredità chi, di conseguenza, per vedersi saldati i crediti. Anche l'esistenza di Ivànovic sarà stravolta dall'arrivo della dispotica vecchia.

Dopo I fratelli Karamazov e Delitto e castigo, letti più di vent'anni fa, ho finalmente recuperato questo romanzo breve (se paragonato ai due testè citati) di Dostoevskij, considerato un capolavoro della letteratura russa dell'800, scoprendo, contrariamente a quanto pensavo, che tratta solo parzialmente del vizio del gioco, volgendo altresì il suo focus principale verso una società mitteleuropea decadente, rappresentata da personaggi verso i quali si concentra impietosamente la penna di Dostoevskij, non lesinando giudizi aspri che ci riportano alla memoria i tanti luoghi comuni dell'epoca, basati sulla provenienza o dall'etnia dei popoli  (il francese, l'inglese, l'ebreo, il russo) che oggi subirebbero senza dubbio l'accusa di non essere politicamente corretti, ma che appaiono funzionali ad una narrazione il cui equilibrio tra dramma e commedia spesso viene spezzato a vantaggio di quest'ultimo genere, risultando, in più di un passaggio, grottesca ed esilarante. 

Lo scrittore, sommerso da debiti per il gioco e in fuga dai creditori, proietta la sua situazione personale frammentandola in più di un character del libro, ma senza dubbio è il protagonista Ivànovic, uomo di cultura e talento, perdutamente innamorato ma non corrisposto e forte giocatore, che Fedor individua come suo doppelganger. Erano infatti queste le condizioni disperate che imposero a Dostoevskij di ridurre drasticamente, per evitare di incorrere nelle penali previste da un contratto con un editore, i suoi tempi di scrittura, terminando Il giocatore in meno di un mese.
Un contesto che tuttavia non ha influenzato negativamente il risultato finale, venendo probabilmente a crearsi una situazione per cui l'urgenza creativa (in questo caso originata dalla poco nobile motivazione dei creditori alla porta) ha portato ad un processo di scrittura efficace, di immediata fruizione.

Il campionario di varia umanità tratteggiato da Dostoevskij ben descrive la miseria malcelata da nobiltà che permeava l'alta borghesia della seconda metà dell'ottocento. Un'umanità che, evidentemente, l'autore non aveva in grande simpatia, e che pertanto mette a nudo senza lasciargli nemmeno addosso la classica, pudica foglia di fico. In un modo o nell'altro tutti hanno delle miserie, umane quando non economiche, strategie, pochezze intellettuali, finalità finanziarie da perseguire, mentre al suo alter ego Ivànovic interessa solo l'amore per Polina, la quale ha però verso di lui un sentimento di apparente indifferenza. 

E così, impossibilitato a coronare l'amore della vita, ad Aleksej/Fedor non resta che arrendersi alla sua pulsione incontrollata: il gioco. E' nei passaggi che spiegano al lettore la natura irrazionale di quelli che oggi definiremmo ludopatici che si svelano tutti i più profondi e inconfessabili tormenti responsabili della spirale di autodistruzione (non diversa dalla tossicodipendenza) in cui cade più di un personaggio della storia e in cui era realmente precipitato il romanziere russo. 
Nella disarmante facilità attraverso cui alcuni insospettabili personaggi sono irrimediabilmente attratti dal meccanismo infernale della roulette (all'epoca un'assoluta novità) e dunque del gioco d'azzardo, si può forse leggere una disperata difesa di Dostoevskij in relazione alle sue debolezze, una sorta di giustificazione di resa alla presenza di un mostro enorme e invincibile dotato di zanne rotanti nere e rosse che ipnotizza le sue vittime, per poi mieterle una ad una. E lui era solo una delle tante.


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