lunedì 9 maggio 2022

Deep Purple, Turning to crime (2021)

Così come non tutti i dischi di cover sono uguali, nemmeno tutti i dischi di cover figli del lockdown lo sono. Infatti, l'altra faccia della manciata di artisti o band che durante la clausura imposta dal covid hanno rilasciato album derivanti da registrazioni casalinghe improntati alla "buona la prima" è rappresentata dagli immarcescibili Deep Purple (siamo alla MK VIII) che non avevano certo bisogno di ulteriori esempi della loro classe senza tempo, ma insomma, ci hanno tenuto a ricordarcela.

Turning to crime (cronologicamente il loro ventiduesimo album di una carriera ultracinquantennale, con il solo batterista Ian Paice già presente nel debut album del 1968) vede la band divertirsi nel pescare tra i brani che, evidentemente, sono la summa degli amori musicali collettivi ed individuali dei singoli componenti. 
Il disco è vincente già dalla scelta dei brani, che viaggiano tra i poco noti e gli sconosciuti al grande pubblico (ammetto che in più di un caso ho dovuto cercare l'autore originale), ma soprattutto per la capacità che possiede di far emergere un amore ed una passione straripanti per il rock, in molte delle sue sfumature.

Diversamente il lavoro non si aprirebbe, rispettivamente, con un brano dei Love (7 and 7 is), uno, travolgente, del musicista errebì della Lousiana Huey Piano" Smith (Rockin' pneumonia and the boogie woogie flu) nei quali la band fa letteralmente faville, trascinando l'ascoltatore in epoche diverse ed eccitantissime. Sorprende anche il recupero del medley Jenny take a ride/CC Rider di Mitch Ryder, vero colpo al cuore per gli springstiniani un pò agè, dato che il pezzo faceva strutturalmente parte delle setlist del boss una quarantina di anni fa. 
La band insomma crea un magico limbo temporale dove il brand DP è sempre riconoscibile, pur affrancandosi nella sostanza dal sound "hard rock". 
Turning to crime è anche l'occasione per il debutto alla voce del bassista Roger Glover (sul country/rockabilly The battle of New Orleans). 
Poi vabbeh, che Ian Gillan non arrivi più alle tonalità più elevate lo abbiamo imparato, ma come intona lui i pezzi lo fanno in pochi, tra coetanei e non. Prendiamo ad esempio Dixie Chicken, l'omaggio agli enormi Little Feat. Un pezzo teoricamente non nelle corde di Gillan, che il frontman fa indiscutibilmente suo. 

Alla fine il pezzo più "normale" è anche il più famoso (White room dei Cream), mentre la conclusiva Caught in the act è una festosa sarabanda (quasi completamente) strumentale, che mette, in medley, Booker T and the MGs, Allman Brothers, Led Zeppelin e Spencer Davis Group. 

Non il disco dell'anno (passato), ma che goduria!

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