So già cosa potrebbe pensare il fan medio di Francesco Guccini: "ma con tutti i capolavori incisi nei settanta, come può essere "migliore della vita" un disco onestissimo, ma non seminale, che salutava i novanta?"
E' molto semplice, cari amici. Provate voi a crescere, sin dalla tenera età di quattro-cinque anni con componenti della famiglia che fanno girare senza soluzione di continuità canzoni terribili su fatali incidenti in autostrada (Canzone per un'amica); macchinisti ferrovieri che si schiantano (La locomotiva, ca va sans dire), che descrivono interventi di aborto (Piccola storia ignobile), morti per parto (Venezia), o irradiano malinconie struggenti di vecchi soli (Il pensionato, Amerigo) ed appassionarvi a questo cantautore.
E allora Quello che non... arriva per me al momento giusto, all'età giusta, dopo un girovagare musicale vario (e in qualche caso avariato), grazie ad un impatto stilistico importante, pieno, lontano da quello scarno, folk, degli esordi e ricco di sonorità anche country rock, blues o cadenzate.
Quello che non... vive per me in particolare su due momenti scolpiti nella roccia del tempo, uno è rappresentato dalla prima canzone in scaletta, che riprende il titolo mentre l'altro è Canzone delle domande consuete.
Un passo indietro. Guccini arriva ad incidere questo disco a tre anni dall'ottimo (ma è difficile individuare un disco oggettivamente brutto, nella sua discografia) Signora Bovary (Scirocco è qualcosa di incantevole) ad aprire una decade (imprevedibilmente?) ricchissima di soddisfazioni, che regalerà al suo fedele pubblico una manciata di nuovi classiconi (Don Chisciotte; Canzone per Silvia; Cirano; Quattro stracci; Vorrei).
La squadra di musicisti è quella storica (Tavolazzi; Bandini; Tempera; Biondini) che qui viene lasciata ulteriormente libera di spaziare (anche col tango, nel pezzo Tango per due) a tutto vantaggio della cifra stilistica e della godibilità complessiva dell'opera.
A livello compositivo da segnalare il ritorno della collaborazione con Lolli su Ballando con una sconosciuta e con Lucio Dalla, con il quale aveva scritto Emilia, inizialmente pubblicata sull'album Dalla/Morandi dell'88 e qui recuperata da Guccini.
Il disco si mantiene sul solito invidiabile livello compositivo, con alcuni picchi che ancora oggi danno i brividi. Mi riferisco, tornandoci su, alla title-track, cadenzata da un ritmo che ci porta dalle parti del west americano: armonica che soffia come il vento del deserto, chitarra leggera e batteria che non si risparmia, adagiate su un testo esistenziale che viaggia al tempo stesso leggero e profondissimo.
Ma mi riferisco anche a Canzone delle domande consuete, che è l'ennesimo trattato sui rapporti uomo-donna e sulla vita di coppia, decantato al tempo stesso con realismo, poesia e senza infingimenti o ipocrisie.
Ci sarebbero poi Cencio, che va ad aggiungersi alla folta schiera di personaggi creati dalla penna del Maestro e Le ragazze della notte, malinconica fotografia di una giovinezza squallidamente offerta ad un potere che, forse, è anche malaffare.
Insomma, l'ennesimo disco imperdibile di Guccini, con un quid in più, rappresentato da un valore sentimentale e "storiografico" che appartiene solo a me.
Senza considerare infine che, grazie a questo passepartout musicale, ho potuto andare a ritroso, superando i "traumi infantili" e riappropriandomi dell'opera omnia gucciniana, che ancora oggi è mia fedele e costante compagna nel faticoso viaggio della vita.
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