Leo Sharp balzò agli onori delle cronache grazie ad un articolo del New York Times che rivelava al mondo il suo ruolo di corriere della droga per il famigerato Cartello di Sinaloa, comandato da El Chapo Guzman.
Cosa c'è di così strano? Beh, che Sharp, veterano della seconda guerra mondiale, è stato arrestato mentre trasportava oltre trecento chili di coca alla veneranda età di ottantasette anni.
E' del tutto evidente che Hollywood non poteva farsi sfuggire la trasposizione di questa storia, e per fortuna il progetto finisce nelle mani di Clint Eastwood, che per l'occasione, vista l'età del protagonista, riprende il doppio ruolo di regista e attore.
Il film racconta la vicenda di Earl Stone (alias Leo Sharp), presentato come persona piacevole, ma molto superficiale, al punto che, nonostante l'età, preferisce girare per gli States andando per convention della sua grande passione (i fiori) piuttosto che accompagnare la figlia all'altare nel giorno del suo matrimonio.
L'avvento di internet e dell'e-commerce porta alla chiusura della piccola impresa di Earl, che si trova improvvisamente privato del suo scopo di vita (n.d. ma andare in pensione, no?) fino a quando, casualmente, entra un contatto con un amico messicano della nipote, che gli propone di spostare "roba" per conto di alcuni suoi amici. Ovviamente gli amici sono del cartello messicano, ma nonostante questo Earl accetta e, prima con volumi irrisori, poi con spostamenti sempre più consistenti, diventa, con il soprannome di Tata (nonno), il migliore corriere del cartello, con tutti i benefits (soldi e trattamento da vip) del caso.
Anche se alla fine della proiezione ho pianto come un vitello, Il corriere a mio avviso resta un film controverso. Potrebbe essere l'ultimo film con Clint Eastwood in un ruolo da protagonista e questo, di per sè, è già un valore importante. Il cast è di rilievo: Bradley Cooper, Diannie West, Andy Garcia, ognuno investito del giusto ruolo. La regia scorre, come da stile consolidato di Eastwood, sobria, pulita ma dannatamente efficace, così come la fotografia (non potrebbe essere altrimenti, in considerazione degli scenari che accompagnano i viaggi di Earl).
La storia è americana fino al midollo, e qui cominciamo ad addentrarci negli aspetti negativi, laddove il crimine del traffico di droga, che causa migliaia di morti tra i tossici e fiumi di violenza, è banalizzato se a perpetrarlo è un innocuo vecchietto a cui semplicemente piace guidare per gli Stetes, nonchè quando si vogliono imporre i valori della famiglia con una modalità paternalistica che ho trovato insincera e fastidiosa. Per non parlare della caratterizzazione dei messicani, banalizzata come da prassi.
Insomma, Il corriere è un film che probabilmente non avrebbe lasciato traccia, non ci avesse messo mano (regia) e presenza (recitazione) quell'icona assoluta del cinema di ogni tempo che risponde al nome di Clint Eastwood.
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