Nel 1960, dopo una latitanza durata quindici anni, gli ultimi dei quali passati in Argentina, il criminale nazista Adolf Eichmann viene individuato e rapito dal servizio segreto israeliano (in Argentina non era prevista l'estradizione), e condotto in Israele per essere processato. Su intuizione del produttore britannico Milton Frutchman, l'intero processo viene trasmesso in diretta sostanzialmente nell'intero mondo civilizzato (30 paesi), per mostrare in maniera inequivocabile gli orrendi crimini commessi dai nazisti nei confronti degli ebrei. E per fare la storia della televisione.
Il film televisivo della BBC parte da qui, da un Frutchman estremamente preoccupato di non riuscire a fare la diretta in quanto i giudici della corte suprema sono restii a concedere l'autorizzazione per la presenza di grosse ed ingombranti telecamere nell'aula di giustizia che non sarebbe congrua all'importanza dell'atto.
Frutchman (interpretato da Martin Freeman) ha contattato per dirigere le riprese Leo Hurwitz (Anthony LaPaglia), regista americano la cui attività era interrotta da anni a causa della famigerata caccia alle streghe di McCarthy che l'aveva inserito nella lista nera di sospetti comunisti ai quali era inibita ogni attività lavorativa.
Hurwitz è una persona razionale e riflessiva, che cerca sempre di approfondire gli argomenti, non limitandosi alla facciata superficiale delle cose. Egli, per esempio, tra lo sconcerto della sua troupe israeliana, afferma che chiunque, in una particolare situazione, può comportarsi come i nazisti o diventare fascista.
Superato il problema dell'autorizzazione dei giudici, grazie ad uno stratagemma che permette di nascondere totalmente le telecamere dalla vista dei presenti in aula, il processo (e lo show) può cominciare.
The Eichmann show si è rivelato un film estremamente interessante per molteplici aspetti, che vanno anche oltre il normale sentimento di vicinanza verso il popolo ebraico, e che ne impreziosiscono la visione.
Assieme all'alternanza tra girato e immagini storiche, passando alla caratterizzazione dei personaggi, estremamente efficace è ad esempio la raffigurazione dei dilemmi morali che dilaniano Leo Hurwitz, resi in maniera straordinaria dalla recitazione di un Anthony LaPaglia misurato, che lavora per sottrazione. Hurwitz, per tutto il tempo nel quale vengono testimoniate, anche con l'ausilio di immagini raccapriccianti, le atrocità commesse nei campi di sterminio, impone alla troupe di riprendere un pressochè inespressivo Eichmann, nella speranza di cogliere un cenno di reazione del nazista, che avvalori la sua tesi che in fondo, anch'egli, sia un essere umano.
Per questo si scontra con il produttore Frutchmann, che è sì interessato al valore storico della produzione, ma anche degli ascolti, molto bassi all'inizio del processo, anche a causa dell'interminabile requisitoria del Procuratore Generale Gideon Hausner che si protrae per tre giorni, nonchè per la contemporanea "concorrenza" delle dirette su Gagarin, primo uomo nello spazio, e la crisi della Baia dei Porci.
Oltre a questa non banale riflessione sul ruolo della televisione, il film tocca anche un aspetto che personalmente non conoscevo e che di certo non ha avuto moltissima esposizione, vale a dire la situazione nella quale si sono trovati i sopravvissuti ai campi di sterminio che si sono rifugiati in Israele. Viene infatti riportato che queste persone venivano trattate con fredda diffidenza e spesso i loro racconti non venivano creduti.
La diretta televisiva del processo, con le testimonianze dei sopravvissuti e le atroci immagini di repertorio, raggiunge il risultato di dare veridicità ad un orrore infinito, squarciando ogni opacità percepita e creando le condizioni perchè un'intera comunità mondiale, prima fra tutti, paradossalmente, proprio quella ebraica, potesse interiorizzare il dramma del proprio popolo imprigionato e sterminato dai nazifascisti.
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